di Gianluca Albanese
SIDERNO – Calzini, scarpe tecniche, pantaloni imbottiti per attutire l’impatto sul sellino duro. E poi giù, di corsa, per salire su quell’adorato capolavoro di alluminio rimesso a nuovo da poco; raggi, corona, pignone, pedali. Rapporti agili poi più forti per una pedalata più “rotonda”. Assaporare l’alba, la sua aria fresca e leggera, lo spettacolo del sole che sorge sul mare, la luce di questa mattinata estiva, il benessere del sangue che pompa nei muscoli, nel cuore e che ti regala l’aspetto di un ragazzo, nonostante i cinquanta toccati da un paio di primavere.
Ne saranno passate di cose per la testa del povero Roberto Leonardo, prima dell’impatto fatale che lo ha sottratto all’affetto dei suoi cari in un’alba che sembrava la rappresentazione massima della vita e della vitalità. E che invece per lui ha rappresentato la morte. Roberto, la bicicletta e l’alba. Un connubio perfetto e comune a tanti ciclisti amatori, che ogni mattina sfidano il sonno, la fatica e la statale 106 per fare il pieno di energia e benessere che li conduce ad affrontare l’intera giornata. Lo conoscevano tutti, Roberto. Principalmente perché nel 1986 insieme all’allora socio Sasà Trimboli mise su il “Pub 86” in corso Garibaldi, angolo via Pietro Nenni. Siderno, all’epoca, era una cittadina molto diversa. Vivace e laboriosa di giorno; chiusa in casa e sonnacchiosa di notte, complice l’aria spesso un po’ pesante di quegli anni. Roberto e Sasà misero in piedi un locale diverso dalle solite pizzerie. Sapeva di giovane, di europeo, di nuovo. La birra inglese spillata, le insalate e i panini, le pizze sottilissime e la fresca vitalità dei proprietari lo resero il punto di riferimento fondamentale dei giovani della Locride di quegli anni. Anche quando a Siderno non usciva nessuno, il Pub 86 era sempre pieno. Nel corso degli anni il locale ha mantenuto la sua identità, Sasà col tempo ha intrapreso un altro percorso professionale mentre Roberto era sempre lì, ad assicurarne la continuità. I capelli lunghi e ondulati tenuti indietro col gel gli davano l’aspetto da eterno ragazzo, col fisico che non era più appesantito come in gioventù ma, grazie alla pratica dell’attività ciclistica, era agile e snello come quello di un adolescente. Il destino cinico e baro e un pirata della strada indegno del mondo civile lo hanno sottratto all’affetto dei suoi cari e della comunità dei ciclisti amatori nella quale già intorno alle 8 circolava la tragica notizia che avvalora ancora di più l’allarme di chi definisce la Statale 106 “Strada della morte”, in cui spostarsi da un paese all’altro della nostra splendida costa dei Gelsomini diventa un azzardo, mentre le piste ciclabili rimangono un’utopia da comizio pre-elettorale. Alla moglie Enza, ai fratelli Enzo e Carlo, a tutti i familiari vanno le più sentite condoglianze da parte della redazione di Lente Locale.