di Gianluca Albanese
LOCRI – Sono le vittime dell’esternalizzazione dei servizi e della precarizzazione del mondo del lavoro iniziata negli anni ’90 e mai conclusa. Una parabola discendente dal punto di vista dei diritti dei lavoratori e ora, da cassintegrati, lanciano un disperato appello alle istituzioni, locali, provinciali, regionali e nazionali, affinché possano avere qualche certezza del mantenimento, in futuro, di un reddito che già di per sé garantisce a stento la loro sopravvivenza.
800 euro mensili in busta paga, infatti, sono pochissime per gli ex Lsu che nel 2001 l’allora governo D’Alema dirottò in alcuni settori nevralgici della pubblica amministrazione, spesso a fare il lavoro “sporco” che i colleghi già stabilizzati, o comunque con contratti a tempo indeterminato, cercavano di eludere. Dal calderone dei lavoratori precari non sono mai usciti, anche se l’intento originario del provvedimento di esternalizzazione dei servizi nella pubblica amministrazione prevedeva delle prospettive di stabilizzazione anche per loro. Sarebbe toccato loro, secondo le promesse di una dozzina di anni fa, il 30% dei posti da assegnare nei settori della pubblica amministrazione, quei posti in cui erano stati spediti giusto per parcheggiarli per qualche anno, indipendentemente dalla necessità o meno nelle strutture destinazione, delle loro braccia. Aspettative sempre deluse, che ora diventano Cassa Integrazione, la cui domanda è stata accettata parecchi giorni dopo il loro collocamento in questa forma di sussidio salariale. Oggi si sentono gabbati, abbandonati, soli e disperati. E hanno deciso di lanciare il loro grido d’allarme in maniera diretta, perché nella loro condizione anche l’effettiva rappresentatività delle sigle sindacali sembra venir meno. «E’ inutile che dopo varie battaglie, Cgil, Cisl e Uil ottengano solo un incontro col ministro Carrozza che avrà luogo a Roma il prossimo 22 luglio. Noi siamo in un limbo che non ci dà alcuna certezza per il nostro futuro. Vogliamo sapere chi ci ha cacciato in questa situazione e perchè. Vogliamo che le istituzioni ci ascoltino e prendano a cuore la nostra situazione». Sono le parole del locrese Emilio Spataro. 43 anni, cinque dei quali trascorsi in consiglio comunale dal 2006 al 2011 nel gruppo del Pd. Oggi è soltanto un giovane uomo deluso dalla politica che insieme ad alcuni colleghi come Antonio Galea, Antonio Custureri e Giovanni Di Masi si rivolge agli organi di stampa per fare conoscere a tutti una difficile situazione. Emilio, negli anni ’90 è un lavoratore socialmente utile in carico al Comune. Un giorno, insieme ad altri 479 lavoratori calabresi viene dirottato a lavorare a scuola. Sono i lavoratori di un’azienda piemontese, la Manitalidea, ma come loro ce ne sono a migliaia in tutta la Calabria, finiti in forza ad imprese che non solo li hanno fatti rimanere nel limbo del precariato, ma sono venute meno pure quelle prospettive di stabilizzazione, magari nel bacino ministeriale dei provveditorati regionali, e ora vivono alla giornata, tra periodi di lavoro pagato poco e quelli di cassa integrazione con un sussidio ancora inferiore. «Chiediamo garanzie sul nostro futuro – dice Spataro a Lente Locale – ma anche che tutto il lavoro svolto fino ad oggi ci venga riconosciuto come punteggio, per eventuali quanto ipotetiche future “finestre” di inserimento tra i dipendenti pubblici delle scuole presso le quali prestano servizio. Ed Emilio è uno dei più giovani. Molti altri, infatti, hanno superato la cinquantina, e ora fanno parte di quell’enorme plotone di lavoratori senza la certezza di uno stipendio oggi e di une pensione domani. Vogliono incontrare il sindaco, il prefetto, chiunque possa dare qualche risposta e aiutarli ad uscire da quello che, stante la situazione reddituale, somiglia sempre di più a un caporalato di Stato. Uno Stato che avrebbe dovuto non solo risparmiare grazie al loro lavoro, ma avrebbe avuto, piuttosto, il dovere morale di dare loro un futuro, quando il presente significa, invece, lavorare per ottocento euro al mese durante l’anno scolastico per poi finire in cassa integrazione appena finisce l’anno scolastico. La loro è una protesta civile che è solo all’inizio. Vogliono che qualcuno si accorga della loro situazione. Nell’Italia dei milioni spesi per le auto blu e gli F35 sembra che la loro situazione non faccia notizia. Loro, invece, hanno voglia di lottare. Ecco perchè hanno in cantiere una serie di iniziative pubbliche per sensibilizzare i cittadini sul loro stato.