di Maria Natalia Iiriti
BOVALINO – Sono le sette e trenta di un mattino di luglio. Le giornate, da queste parti, cominciano dolcemente, per poi cedere a un caldo feroce. Sono alla stazione di Bovalino e aspetto Mimma Cartisano (a destra nella foto accanto alla figlia Deborah), moglie del fotografo Lollò Cartisano, sequestrato il 22 luglio di vent’anni fa e mai più ritornato a casa. Mimma arriva intorno alle otto. Accanto a lei un’amica di Collegno, Lucetta Sanguinetti , venuta a percorrere il sentiero della memoria.
Una prima tappa dal fruttivendolo per comprare insalata, pomodori, due cassette di pesche. “Presto presto, dobbiamo andare”. Il ritrovo è nell’ampio spiazzo di un centro commerciale. Arrivano i familiari, i parenti, gli amici, e poi gli amici degli amici, le forze dell’Ordine, tutte, per compiere il loro lavoro ma anche per unirsi al cammino della memoria che, da dieci anni, si inerpica verso l’imponente bellezza di Pietra Cappa e poi declina bruscamente fino al punto in cui sono stati ritrovati i resti di Lollò Cartisano. “All’inizio eravamo quindici” mi spiega Lucetta. Facile intuire che si trattasse dei familiari e dei parenti stretti. “Quest’anno, invece, siamo in tanti, circa duecento” racconta Deborah Cartisano, figlia di Lollò, instancabile come il comitato di accoglienza che accoglie i più lontani, provenienti da Crotone, Firenze, Modena. Tanti giovani e giovanissimi, gli stessi che dedicano parte delle proprie vacanze a lavorare nei campi di Libera, per imparare che la ‘ndrangheta è un problema di tutti. Quest’anno una significativa presenza che Deborah sottolinea con un sorriso e un applauso: quella degli abitanti di Bovalino, pronti a andare da Bovalino a Pietra Cappa, in territorio di San Luca, nel punto in cui, dopo dieci dal tentativo di sequestro sono stati ritrovati i resti di Lollò, professione fotografo, aspirazione i vivere libero nella propria terra. Il primo cammino risale a dieci anni fa per iniziativa dell’allora vescovo Mons. Giancarlo Bregantini, amico della famiglia Cartisano e grande punto di riferimento nelle iniziative di giustizia e libertà organizzate dalla comunità. I sentieri della memoria si ramificano e raccolgono l’apporto di altre realtà importanti per la rinascita del territorio. Quest’anno l’iniziativa è organizzata dal Coordinamento Libera Locride, in collaborazione con il Centro Padre Puglisi, l’Associazione Don Milani onlus, l’Associazione Gianluca Congiusta onlus, l’Associazione Nuova Bovalino, Cejri ojnlus, Stop ‘ndrangheta, Da Sud e si avvale del patrocinio dell’amministrazione comunale di Bovalino che ha fatto stampare le magliette che ricordano la giornata. Accanto ai partecipanti il Corpo forestale dello Stato, la CGIL, il CAI, l’associazione Gente in Aspromonte, la Protezione Civile di Natile di Careri, , una rappresentanza della Commissione contrasto alle mafie e alla corruzione del Comitato Unitario dei Professionisti di Modena al lavoro per il ripristino di un ponticello crollato negli scorsi mesi lungo il cammino, che Deborah vorrebbe chiamare Ponte della memoria.
“Non siamo più soli a camminare su questo sentiero, né nella aule di tribunale, né nelle proteste” questo dice Deborah prima del cammino. “Oggi ciascuno di noi sta dimostrando il proprio impegno, non ha delegato nessuno”. Grazie a Libera, presente in tante declinazioni regionali e locali, accomunata dal desiderio di giustizia e di pace, il cammino oggi è condiviso da tante persone.
“Libera rappresenta la lotta della memoria contro l’oblio. Ricordare quanto è successo e farlo coi familiari delle vittime innocenti è la cosa più bella” dice don Pino De Masi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro. “Oggi stiamo gettando le basi perché la memoria, superando l’oblio, diventi protagonista di cambiamento. La lotta alla mafia non è una lotta di eroi, ma una lotta di rete. Loro sono morti perché noi non eravamo abbastanza vivi. Oggi noi siamo vivi: bisogna esserlo per traghettarci verso la normalità, per dimostrare che in questa terra si può vivere a testa alta e con la schiena dritta”.
“Seguire Libera significa cogliere un’opportunità di riscatto sociale” dice Carla Fragomeni, commissario del Comune di Sant’Ilario che inaugura lo spazio destinato al saluto delle autorità. Sono presenti Rosario Rocca, sindaco di Benestare, Domenico Maio,presidente del consiglio di Locri, Tommaso Mittiga, primo cittadino di Bovalino che ricorda che una delibera di giunta impegna gli amministratori a aderire, negli anni a venire, al cammino in memoria di Lollò.
Deborah pronuncia il nome di tutte le vittime di ‘ndrangheta e mafia, che oggi saranno ricordate, storie che mai dovrebbero essere dimenticate. Sono le storie di Gianluca Congiusta di Siderno, Giuseppe Tizian di Bovalino, Vincenzo Grasso di Locri, Celestino Fava di Palìzzi, Rocco Gatto di Gioiosa Jonica, Fortunato Correale di Locri. Accanto a queste, le nuove storie, quelle di Massimiliano Carbone di Locri, di Giuseppe Luzza di Acquaro, di Bruno Vinci di Serra San Bruno, del poliziotto siciliano Beppe Montana. Storie raccontate dai familiari, dagli amici e dai giornalisti partecipanti al cammino, come hanno fatto Alessio Magro, Giovanni Tizian e Giuseppe Trimarchi. E ancora altre storie vengono ricordate. Giuseppe Trimarchi, accoglie il suggerimento di Liliana Carbone, mamma di Massimiliano e racconta di Paolino Rodà, un pastore ucciso a Bruzzano all’età di 13 anni, assieme a suo padre, vittima di mafia. Lucetta Sanguinetti ricorda la storia di Fabrizio Catalano di Collegno, scomparso nel 2005 e visto per l’ultima volta in Calabria.
Verso le tre del pomeriggio, il popolo in cammino raggiunge il luogo simbolo della memoria.
Una croce di ferro, una pietra dalla quale sorridono un mazzo di buganvillea, il fiore preferito di Lollò e un’ortensia. Questa l’aveva piantata proprio Lollò ad una vicina di casa che ne ha amorevole cura. Tante pietre della memoria, un rullino kodak, un pallone con la marca di una macchina fotografica, che sintetizza i due amori di Lollò, quello per la fotografia e quello per il calcio. Un uomo giovane coi capelli bianchi che non è riuscito a diventare vecchio.
Qui riposano i resti di Lollò, ritrovati grazie a una lettera inviata alla famiglia Cartisano e a Mons. Bregantini.
“Sugnu ‘u carcereri i vostru maritu e vi dicu u mi perdunati”. Deborah racconta il contenuto della lettera ricevuta dieci anni fa. L’uomo, che rimane anonimo, si dice pentito della sua azione. “Ho incontrato Dio, ora vorrei poter guardare i miei figli negli occhi. Quando vi vedo in paese non riesco a guardarvi in faccia”. L’uomo chiede alla famiglia di ottenere il perdono attraverso le pagine dei giornali. “Per dieci anni abbiamo scritto per avere notizie di nostro padre. Con questa lettera quest’uomo ci ha insegnato che è possibile cambiare. Il mondo delle vittime e quello dei carnefici devono incontrarsi. La lotta alla mafia è una lotta culturale che deve poter influenzare chi è in bilico. La mafia è una mentalità che ci riguarda tutti. Mio padre, prima di essere rapito, era qui, su queste montagne. Mio padre questa terra l’ha amata e oggi posso dire che è riuscito a trasmetterci questo amore”.
Mimma Cartisano siede accanto a Lollò e sembra la sposa della prima lettura. “Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amore dell’anima mia”. Don Andrea Bigalli, referente di Libera per la Toscana, si prepara a dire la Messa con due celebranti. Si chiude così un percorso di memoria che abbraccia due scelte: celebrare la memoria di Maria Maddalena, santa del giorno, la prima testimone della resurrezione di Cristo dopo la morte di croce e celebrare la memoria dei martiri, testimoni di fede e guidati dallo spirito della sacralità dell’esistenza a cercare la giustizia e la verità. “Tutti siamo nella potenzialità di risorgere, di rialzarci, resistere per ri-esistere, vivendo un significato rinnovato della nostra Resistenza” dice Don Andrea durante l’omelia e ricorda il dittatore argentino Jorge Videla, morto recentemente in carcere per il coraggio di alcune donne che ogni giovedì, per trent’anni si ritrovano in Plaza de Mayo a Buenos Aires per ricordare a tutto il mondo che stavano ballando da sole, perché rimaste senza padre, fratelli, figli, nipoti. ” Il male non è più forte di noi: siamo all’alba, non al crepuscolo e dobbiamo combattere la sfida del cambiamento attraverso la giustizia”.
Tuoni in lontananza, qualche goccia bagna le teste. Le cicale che hanno accompagnato il nostro cammino adesso riposano. Tanta gente ha chiamato il fotografo su queste montagne. I nipoti, figli di Giuseppe, Rocco e Deborah, nipoti che nonno Lollò non ha fatto in tempo a conoscere, si sentono dire questo: “Quanta gente ha portato il nonno su queste montagne, ogni anno di più !”.
Il ritorno è accompagnato dai racconti: ognuno sceglie un compagno di viaggio. Il mio compagno è Deborah Cartisano. E’ felice della giornata, trascorsa nel ricordo si suo padre. Mentre la natura si apre generosa ai nostri passi, parliamo di tutto, di Lollò, dell’amore, della nostra terra, delle nostre scelte che ci hanno ricondotto qui. La terra chiama, vuole il nostro impegno, il nostro dolore e la nostra felicità e la separazione è una ferita che difficilmente si rimargina. Una merenda conclude questa giornata meravigliosa, un anniversario di dolore trasformato in una promessa di impegno quotidiano contro il male. Ciascuno spezza il proprio pane col vicino, non ne conosce il nome ma vi si riconosce nel ricordo di Lollò Cartisano, professione fotografo, aspirazione vivere libero nella propria terra.