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GIOIOSA JONICA- L’associazione “Don Milani”, all’interno del progetto “La cultura al centro storico”, ha voluto celebrare la festa della donna in maniera diversa organizzando un incontro nel quale si è affrontato il tema sempre molto attuale della violenza di genere.
L’evento è stato suddiviso in due momenti: il primo ha visto protagonista la psicologa Sara Jacopetta che ha relazionato sui vari aspetti legati alle donne che subiscono violenza; mentre la seconda parte è stata coordinata dal gruppo “Teatro Grotteria” ed ha visto esibirsi cinque donne in altrettanti monologhi composti da Dario Fo e Franca Rame, monologhi molto forti che avevano come protagoniste altrettante donne che raccontavamo diversi drammi, dalla mamma che piange il figlio ucciso dalla polizia alla ragazza vittima di violenza da parte del marito. Sara Jacopetta nel suo intervento ha analizzato i vari tipi di violenza che una donna può subire all’interno di un rapporto di coppia fino a spiegare quali sono i motivi che spingono le stesse vittime a rimanere legate al proprio aguzzino. «La parola femminicidio – spiega – esiste nella lingua italiana solo a partire dal 2001,fino a quell’anno, l’unica parola esistente col significato di uccisione di una donna era uxoricidio relativo solo all’uccisione di una donna in quanto moglie,non avevamo una parola che alludesse all’uccisione della donna proprio in quanto donna.Non esiste un profilo della donna-tipo che subisce violenza anche se in base ai dati in nostro possesso potremmo stilare un profilo che comprende donne di età compresa tra i 25 ed i 45 anni e con un livello di istruzione non obbligatoriamente basso. Le violenze che una donna può subire sono di vario tipo e vanno da quella fisica, che può essere anche sessuale a quella psicologica ed economica, ma la violenza più diffusa, al contrario di quanto si pensa, è quella che avviene all’ interno delle mura domestiche.Ma la donna perché non reagisce?Perché le donne maltrattate non lasciano?La risposta è semplice le donne vittime di violenza sono paralizzate dalla loro situazione traumatica vittime della così detta paralisi emotiva, che impedisce di trovare soluzioni e di riallacciare altre relazioni o di confessare a qualcuno il dramma in corso e di prenderne coscienza, uscire da queste situazioni non è facile anzi per alcune è impossibile e ne resteranno segnate per tutta la vita».
ANTONIO LABATE