DALL’UFFICIO STAMPA CGIL RC-LOCRI RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO LA SEGUENTE NOTA STAMPA
Riace – Sono stati “infettati” tutti, giovani e volontari dello Spi Cgil di Bologna, dal “virus della legalità”. Il germe delle democrazia è entrato prepotentemente nella mente e nei cuori dei partecipanti della terza giornata di incontri, promossa nell’ambito della prima settimana dei Campi della Legalità di Riace (28 luglio – 3 agosto 2013) da Cgil, Spi Cgil Rc-Locri e Arci Rc.
L’iniziativa si è, infatti, svolta all’insegna del ricordo, della memoria storica, attraverso i racconti di protagonisti, diversi tra loro, ma accomunati da un solo elemento: il coraggio. Il coraggio di dire ciò che si pensa; il coraggio di affrontare ogni forma di limitazione delle proprie libertà (dal regime nazi-fascista alla ‘ndrangheta); il coraggio di andare avanti e a testa alta, a dispetto degli ostacoli derivanti da una realtà difficile. La prima tavola rotonda, moderata da Salvatore Lacopo (Spi Cgil Rc-Locri) e introdotta da Vladimiro Sacco (Spi Cgil Calabria), si è incentrata sulla testimonianza di Pinuccia Murdaca che ha raccontato ai giovani e ai volontari del Campo gli avvenimenti legati alla resistenza anti-fascista e a quella anti-nazista attraverso le gesta di chi ha fatto la Storia; di chi ha sacrificato la propria vita per un futuro migliore possibile. Un racconto vivo, lucido, fatto di suoni e di immagini; di aneddoti e di filastrocche. Come quella che imparava da bambina e che sembrava tale ma, in realtà, erano messaggi in codice da riportare a “una persona fidata”. A una donna della Resistenza. Attraverso le sue parole, i partecipanti alla tavola rotonda hanno scoperto che esisteva più parità di genere allora, quando si combatteva tutti nelle stessa “brigata”, senza distinzione di ruoli e compiti. Ma non solo. Perché la partigiana Pinuccia ha anche raccontato della sua attività sindacale, delle sue battaglie in fabbrica, della sua esperienza familiare: “E’ l’ignoranza – ha detto – che conduce alle forme di discriminazione, alla paura. Chi non conosce, non partecipa”. Nel corso della seconda parte dell’incontro, moderato da Francesca Chirico (autrice di Io Parlo e redattrice dell’archivio Stop ‘ndrangheta), si sono affrontati i temi dell’anti-‘ndrangheta e del riscatto di una terra, quella calabrese. La prima a esporre la sua storia è stata Deborah Cartisano: la coordinatrice di Libera nella Locride ha narrato la vicenda del sequestro del padre, Lollò Cartisano, avvenuto il 22 luglio 1993. Un uomo che ha deciso di dire No alla ‘ndrangheta, di non pagare il pizzo. Un padre che ha vissuto a testa alta, portando avanti i suoi valori; valori in cui credeva e per cui è stato barbaramente ucciso dalla ‘ndrangheta. Per Liliana Carbone, raccontare l’assassinio del proprio figlio e il velo di silenzio che ha dovuto e voluto squarciare è stato un momento di forte commozione ma, soprattutto, una condivisione. Uno scambio di vibranti esperienze per lottare contro l’indifferenza. Combattere il disinteresse è l’asse attorno a cui ruota l’obiettivo principale di quella parte sana e onesta, la stragrande maggioranza dei calabresi, che vuole abbattere una minoranza, di cui non vuole essere più ostaggio. E per farlo “si è partiti da lontano – ha spiegato Lacopo –: attraverso le nostre lotte, le nostre battaglie e le nostre manifestazioni. Noi vogliamo abbattere questa cultura mafiosa. Tutto il nostro percorso, fatto di scontri, di comportamenti legali quotidiani e di testimonianze, punta a distruggere questa cortina di ferro. A illuminare le zone d’ombra, perché la ‘ndrangheta penetra nelle realtà dove ha interessi economici e lo fa in silenzio, in modo quasi viscido. Abbattere questa cultura mafiosa vuol dire parlarne, denunciare, esplicando la propria responsabilità di cittadini onesti”. Storie di uomini e donne che hanno avuto la forza e la determinazione di percorrere un sentiero fatto di legalità, di responsabilità, di valori. Quello di ieri è stato un confronto ma anche un modo per riflettere, per dialogare sulla ‘ndrangheta, sulla violenza, sul concetto di cultura mafiosa, sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in tutto il mondo. Nel corso dell’incontro, con vivacità e curiosità, con rispetto e con determinazione, si sono esposte diverse idee. Si è trattato del tema della responsabilità personale, della capacità di acquisire gli strumenti e le conoscenze necessarie per comprendere meglio la ‘ndrangheta e le sue ramificazioni. Molti, i quesiti che i ragazzi e i volontari del campo hanno posto ai loro interlocutori. “La nostra finalità – ha detto una ragazza del gruppo – è proprio quella di poter decifrare anche ciò che accade nei nostri paesini del nord Italia. Riuscire a capire i meccanismi e le dinamiche dell’infilitrazione mafiosa nei nostri territori. Avere quegli strumenti che, in futuro, mi potranno esser utili per leggere con occhi diversi ciò che accade intorno a me, senza aspettare di leggere casualmente sul giornale che il mio vicino di casa è stato arrestato perché un capo ‘ndrangheta”.