di Nicola Frammartino
CAULONIA – Ancora fino agli anni ’60 del Novecento in molti negavano che in Sicilia esistesse la mafia intesa correttamente: un’associazione dedita alla realizzazione degli affari attraverso il crimine.
Si sosteneva che la mafiosità fosse una mentalità tipicamente siciliana: i Siciliani, avevano più degli altri il senso dell’onore, della famiglia e della comunità. Tutto qui. Essere mafiosi voleva dire avere un temperamento esuberante, rifiutare di risolvere i propri contenziosi per vie ufficiali. I mafiosi venivano descritti come uomini che amavano i loro piccoli paesi e li proteggevano e che solo di tanto in tanto ammazzavano la gente. A sostenere queste tesi erano intellettuali e politici non solo di destra. Certo erano uomini disponibili a passare sopra alle decine di sindacalisti, esponenti della sinistra comunista, socialista e anche cattolici (anche se molto di meno quest’ultimi) uccisi dalla mafia solo perché si battevano per il riscatto dei contadini e che avevano dovuto rimuovere dalla memoria la prima grande strage di Stato: Portella della Ginestra, avvenuta il 1° maggio 1947. Oggi nessuno oserebbe sostenere una tesi simile, ché si coprirebbe di ridicolo e di disprezzo. Un’evoluzione lenta, ma sicura, frutto di un costante e straordinario impegno politico e culturale di partiti politici, di sindacati, di fedeli servitori dello Stato, d’intellettuali e di gente comune. Un’evoluzione che è stata pagata al prezzo di un alto numero di vite umane spente per mano mafiosa.
Anche a Caulonia abbiamo compiuto, su questo terreno, negli ultimi 20-30 anni, un lungo cammino, ma in senso inverso.
Fino a tutti gli anni 60 del Novecento questa cultura era molto radicata in mezzo a noi. Oggi risulta molto indebolita. La Repubblica Rossa del 1945 ha rappresentato un momento molto importante per l’evoluzione di questo fenomeno. Fino a quella data aveva una certa consistenza, soprattutto nelle nostre campagne, la vecchia ’ndrangheta, quella che praticava l’abigeato, che consumava furti, che compiva azioni intimidatorie e dimostrative, come tagli degli alberi e altri danneggiamenti alla proprietà. Nella vicenda della Repubblica Rossa quella ‘ndrangheta ebbe un peso di primaria importanza; probabilmente senza di essa la Repubblica non ci sarebbe stata, anche se non fu solo ‘ndrangheta, perché una volta accesa la miccia, l’incendio si è propagato in tutte le direzioni e si ebbe un grande e straordinario movimento di rivolta contro i fascisti e contro i residui feudali che ancora sopravvivevano. Negli anni immediatamente successivi, per tante ragioni, la componente ‘ndranghitista fu messa ai margini del movimento di lotta che dalla Repubblica ha avuto la spinta iniziale. Si è verificato a Caulonia un fenomeno sconosciuto o meno evidente degli altri comuni del comprensorio: un mutamento di molti ‘ndranghetisti, che divennero protagonisti del movimento di lotta. Si ebbe, infatti, in quegli anni quel fenomeno Gramsci vede verificarsi in diversi momenti della storia d’Italia: l’assorbimento molecolare degli elementi di un gruppo sociale sottomesso da parte di un gruppo sociale egemone. In questa circostanza il gruppo sottomesso era la ‘ndrangheta e quello egemone, il movimento popolare.
Questo mutamento nei quadri della ‘ndrangheta ha creato a Caulonia una forte discontinuità nella vita della stessa ‘ndrangheta e un’espansione della Sinistra i cui esponenti presero in mano la direzione del movimento e improntando di sé la vita politica e culturale del paese. Fu un capolavoro del Partito Comunista e del Partito Socialista.
La Sinistra svolse, in quegli anni, una funzione davvero straordinaria: mentre incitava e guidava le masse popolari alla lotta per la terra (che a Caulonia non aveva, per altro, le dimensioni del latifondo), le ha collegate con la più avanzata cultura nazionale. Un’opportunità impensabile fino a qualche anno prima: una comunità per secoli completamente isolata, arretrata, miserabile e plebea entrò in stretto contatto con le correnti più vive del più moderno pensiero europeo.
La Sinistra era allora godeva allora di grande prestigio in mezzo al popolo e le sue denunce e le sue prese di posizione contro la mafia erano accolte dall’opinione pubblica con molto rispetto anche dai ceti da essa lontani culturalmente e politicamente. In quegli anni a Caulonia più si attaccava la ‘ndrangheta più voti si prendevano.
Oggi sono completamente mutati i parametri essenziali del paese.
1. E’ cambiata l’economia del paese: non c’è nemmeno una traccia di economia agricolo-pastorale d’un tempo. Ad essa è subentrata un’economia improduttiva, parassitaria e assistenziale alimentata dalle risorse pubbliche.
2. E’ cambiata la mafia. Non esiste più la vecchia mafia campagnola. Essa si è trasferita dalle campagne ai centri urbani ed è entrata nei grandi affari: la droga, gli appalti e le estorsioni.
3. E’ cambiata la Sinistra. Il trasformismo più selvaggio l’ha resa irriconoscibile. Essa è oggi una forza in nulla diversa dalle altre, né per i fini, né per i metodi, ma, alla pari delle altre, lotta per assicurare ai suoi esponenti il potere locale che, assicura a chi l’ha in mano potere e ricchezza.
Oggi parlare a Caulonia contro la mafia non fa più guadagnare voti. Li fa perdere e i nostri politici lo sanno bene. Ecco la ragione vera di tutto questo balbettìo di molti politici intorno al tema della mafia. E la mafia lo sa e li ringrazia. Mentre molti servitori della Stato, giudici, poliziotti, carabinieri, uomini e donne comuni cadono sotto il piombo mafioso, essi dall’alto delle loro cattedre pontificano sul garantismo e su un meridionalismo che ripete meccanicamente i temi e gli argomenti cent’anni fa. La mafia a Caulonia è stata lasciata crescere dalle classi dirigenti sotto i propri occhi. Nessuno, tranne la Magistratura, l’ha contrastata. E per questa ragione la Magistratura e i carabinieri e lo Stato tout court vengono attaccati da certi intellettuali con un impeto che lasciata sconcertate le persone più ragionevoli. I motivi di questi attacchi li chiarisce un grande giurista, Guido Neppi Modona che scrive: “Chi attacca i giudici, magari anche giustamente ma usando toni da crociata può riscuotere forti consensi tra l’elettorato mafioso”.
E’ là, nei consensi l’origine di questa frenesia.
Un’intera comunità, Caulonia sta perdendo la sua identità, per meschini calcoli elettorali. Non passerà molto che non saremo più citati come il paese della Repubblica Rossa che riempiva di orgoglio quasi tutti i Cauloniesi, ma saremo indicati come un oscuro e grigio paese di mafia, come tanti altri in questo comprensorio.
La penetrazione della mafia nel paese è parallela alla crisi della Sinistra che, per decenni, era stata considerata, ed era in realtà, una diga contro il malaffare e che poi non lo è stata più. La responsabilità storica della penetrazione in questo fenomeno pesa interamente sulle spalle della Sinistra a Caulonia.
La Destra, nelle sue diverse espressioni, non ha avuto a Caulonia, negli ultimi decenni, responsabilità di governo del paese e i clan non hanno mostrato interesse verso quell’area politica, né quei politici sono andati a cercare i mafiosi. Significa pure qualcosa se l’unico morto di mafia che abbiamo avuto a Caulonia negli anni 70 del Novecento è stato Vincenzo Scuteri, detto “Vici u fascista.” Un autentico eroe che la Destra non ha saputo mai ricordare (e questa è la sua colpa), consentendo ad altri di citarlo strumentalmente.