di Domenica Bumbaca ed Emanuela Alvaro
LOCRI – Con la notizia dell’avvio della procedura 223, afferente al licenziamento collettivo avviato al call center, coinvolgendo oltre 120 dipendenti, inevitabile lo sconcerto e la paura per il futuro da parte dei diretti interessati, molti dei quali hanno come unico sostentamento economico proprio lo stipendio derivante dal lavoro a Call&Call Lokroi.
“NOI NON SIAMO NUMERI” è l’hashtag che ha iniziato a circolare sui social network e che racchiude preoccupazioni e stati d’animo.
In questi giorni pubblicheremo le storie di alcuni di loro che ringraziamo per averle voluto condividere con noi, ma soprattutto con tutti voi!
- Io e questa azienda siamo cresciute insieme – Antonietta P.
Era il 2005, maggio credo. Ho inviato domanda e curriculum vitae l’ultimo giorno utile. Inizialmente non avevo nemmeno capito di cosa si trattasse,” si lavorerà con i telefoni” dicevano. Mi sono ritrovata a Reggio Calabria a fare dei quiz di cultura generale. Prima prova ok. Successivamente sono stata convocata al centro per l’impiego per la seconda prova, andata bene anche quella. Dopo l’estate altra convocazione al Grand Hotel President, colloquio informale e illustrazione progetto, le faremo sapere.
Fine ottobre ricevo una telefonata con la quale mi veniva comunicato che il 20 novembre sarei dovuta partire con altre ventiquattro persone per Milano per seguire un corso di formazione che si sarebbe concluso il 15 febbraio. Così è iniziata la mia avventura con la Jonitel che poi sarebbe diventata Call&Call Lokroi. Quindi, io e questa azienda siamo cresciute insieme! Mi ha dato l’opportunità di sposarmi, di avere una tranquillità economica in una terra che non ti da certezze, di avere dei figli, di vivere dignitosamente.
Oggi, dopo 12 anni, mi viene detto che probabilmente non sarà più così.
Come mi sento? Incredula, smarrita, triste perché questo lavoro lo consideravo un po’ una mia creatura.
Non può e non deve finire così. Noi combatteremo con tutti i mezzi e le armi che abbiamo a disposizione.
- Un lavoro per pagarmi gli studi e per sostenere la famiglia – Domenico M.
Sono passati quasi 9 anni dall’inizio della mia avventura presso Call&Call e ancora oggi ricordo perfettamente le diverse fasi che a novembre del 2008 mi hanno portato all’assunzione a tempo indeterminato. Inizialmente ho intrapreso questo lavoro per avere una mia indipendenza economica, per non stare con la speranza che mamma o papà mi dessero la così detta paghetta e per autofinanziare i costi relativi al mio percorso studi.
Con il tempo si sa che le cose tendo a cambiare in positivo o negativo ed è per questo che da indipendenza economica questo lavoro è diventato un esigenza. Otto anni fa con la crisi economica mio padre perde il lavoro e per una persona all’epoca di 52 anni non è facile rimpiazzarlo con un altro soprattutto data l’età e specialmente per quello che offre la nostra zona, per tanto la mia è diventata l’unica entrata in famiglia. Perdere il posto di lavoro non mi consentirebbe più di provvedere alla mia famiglia oltre a impedirmi di quell’affetto giornaliero che mi trasmettono gli occhi dei miei colleghi/amici/secondafamiglia di team quando insieme iniziamo il turno di lavoro, sarebbe un peccato non gioire dello sguardo di: Roby, Sabrina, Caterina, Maria Caterina, Claudia, Jessica, Simona, Francesca, Rosa, Emanuela, Maria, Mirka, Clementina e di tutti gli altri. Dietro ogni LK c’è una persona anche se esso è composto da numeri.
- Come il possibile licenziamento di massa di 130 “famiglie”, oserei dire, non abbia la stessa risonanza di un morto ammazzato? – Filippo B.
Chi scrive è un dipendente, forse ancora per poco, dell’azienda Call&Call. Sono orgogliosamente dipendente di tale società da più di 5 anni oramai. E si badi bene: la mia appartenenza è a Call&Call, e non a Call&Call Lokroi. Sembrerà per molti non esserci differenza ma non è così. La mia, come quella di molti miei colleghi, è una rivendicazione come dipendenti dell’Holding di Call&Call. Ci siamo sempre sentiti parte di questa realtà. Sin dal lontano 2008 quando l’allora presidente Umberto Costamagna decise di investire sul nostro territorio e sulle nostre professionalità. La Locride, allora, era investita dal terremoto “mediatico” seguito all’omicidio del compianto dottor Fortugno, uomo di indiscusse doti professionali ed esponente politico affermato. Nonostante la nostra Città ed il nostro comprensorio fossero etichettati come terra di ‘ndrangheta, che dà i natali solo ai delinquenti, ci fu chi decise di sfidare i pregiudizi e creare una realtà positiva dal nulla. E ancora oggi non sono pochi i ringraziamenti da inoltrare al dottor Costamagna per la volontà di fare imprenditoria nel nostro territorio, creando quasi 400 posti di lavoro a tempo indeterminato che, se ci pensiamo bene, nessuna forza politica con le proprie azioni governative è riuscita mai a realizzare. Dal 5 luglio però, in maniera ufficiale, tutto questo è messo in discussione. Da più parti vige la cautela a non creare allarmismi sensazionalistici e senza senso per chiusura del sito produttivo di Locri mai espressa né dall’azienda né dalle forze sindacali. Anzi. Abbiamo ricevuto rassicurazioni sul fatto che il dottor Costamagna, nostro cittadino onorario, non voglia chiudere il nostro sito e che stia facendo di tutto, insieme ai propri dirigenti e collaboratori, per arginare la crisi che ha impattato la nostra sede. Non dubito di questa sua volontà e confido in una risoluzione tempestiva e positiva di tale situazione. Ma pur volendo essere prudenti ed analizzando con assoluta obiettività quanto sta accadendo, come potrei essere “sereno” quando l’azienda presso la quale lavoro ha aperto giorni fa la procedura cosiddetta “223” che prevede licenziamenti collettivi per circa 130 dipendenti?
Beh, mi si potrà dire: questa è prassi e vi consente di avere a vostra disposizione i tempi burocratici per trovare delle soluzioni alternative ai licenziamenti. Benissimo, sarà pur vero, ma in maniera altrettanto obiettiva bisogna notare come negli ultimi anni nel nostro sito produttivo sono state più le commesse andate via che quelle in ingresso. E la crisi del mercato dei call center non fa certo ben sperare. Basti pensare al caso più conosciuto, quello di Almaviva.
La scelta della commessa Engie di lasciare il nostro territorio per spostarsi a Casarano sempre all’interno della stessa azienda non può lasciare indifferenti. Ed a me, come ai miei colleghi, che tale commessa hanno visto nascere e, con tanti sacrifici e molto impegno, abbiamo visto raggiungere livelli notevoli in termini di “customer satisfaction” ( qualità del servizio erogato) crea non poca amarezza vedere come il lavoro di 6 anni sia stato “svalutato” e passato in secondo piano in favore di scelte aziendali interne relative ad aree logistiche ed organizzative. Certo, la sede Call&Call di Casarano sarà sicuramente più vicina alle sedi Engie presenti sul territorio. Sicuramente in una logica di concentrazione territoriale e possibilità organizzative avere tutte le sedi nell’arco di pochi km risulterà essere positivo per Engie. Ma la qualità del servizio erogato dal nostro sito nel corso di questi anni e le professionalità in esso presenti non hanno avuto alcun peso in questa scelta? Si vuole davvero mettere a rischio il lavoro di circa 130 dipendenti solo per avere il servizio più vicino alla propria sede operativa di Bari? Al di fuori di ogni logica appare tale scelta irresponsabile considerando il risultato finale: 130 posti di lavoro che Call&Call non può più mantenere venendo meno la commessa in questione. Lasciando da parte le valutazioni sulla scelta in questione che, a conti fatti in maniera obiettiva, risulta essere anche “comprensibile” da un punto di vista aziendale di Engie per eventuale risparmio di costi di gestione e trasferte che verrebbero meno, o sarebbero ridotti, se effettuate a Casarano. Assumendo come principio che Engie è libera di adottare le misure che ritiene più opportune per il proprio servizio clienti anche in una visione di esigenze organizzative e scelte logistiche, mi domando quale sarà il nostro futuro?
In questi giorni pochi sono stati gli interventi che si sono sentiti a nostro sostegno da parte della politica. Locale, regionale e nazionale. Ringraziando il Sindaco di Locri ed il Vescovo che ci hanno incontrato e si stanno prodigando per risolvere tale situazione, mi viene da chiedere dove sono tutti gli altri?
È di soli pochi mesi fa la visita a Locri del presidente della Repubblica e di Don Ciotti. In quel momento tutti i riflettori erano puntati sulla nostra Città. Perché ora non sta succedendo la stessa cosa? Devo pensare, in maniera provocatoria, che non fa rumore la possibilità di licenziare 130 dipendenti rispetto alla problematica ‘ndrangheta? La Locride deve essere conosciuta, analizzata e seguita solo se al centro di tutto vi è un chiaro riferimento alla mafia, come le giornate promosse dall’Associazione libera? Tante sono state le parole spese dai nostri politici regionali e nazionali in quell’occasione. Tutti ad applaudire la venuta del Presidente della Repubblica. Messaggi di vicinanza alla nostra terra da tutti gli esponenti politici. Ed ora? Dove sono tutte queste persone? Mi rammarica constatare come tutto ciò non faccia scalpore.
Come il possibile licenziamento di massa di 130 “famiglie”, oserei dire, non abbia la stessa risonanza di un morto ammazzato. Qui si sta facendo anche di più. Si sta “uccidendo” la dignità di persone che si troveranno, da un giorno all’altro, senza un lavoro. Non potranno più far fronte agli impegni presi con le banche per il mutuo, per l’acquisto dell’auto. Dovranno cambiare le proprie abitudini quotidiane e si troveranno a dover spiegare ai propri figli che ciò che prima era possibile avere ora non più. E tutto questo per cosa? Per una scelta logistica organizzativa? Non ci sto.
Non ci sto a tale decisione, seppur “capibile” in termini aziendalistici. Ringraziando Engie per quanto in questi anni ci ha dato, ora è il momento di pensare oltre. E qui deve subentrare la politica. Se davvero a qualcuno interessa il nostro territorio, che si faccia avanti. Ora ha la possibilità di dimostrare con in fatti tutti quanto detto a parole per puro spot elettorale. Chiedo al nostro premier Gentiloni, al suo predecessore Renzi, agli esponenti della destra e delle nuove forze politiche di volgere il loro sguardo verso ciò che ci sta accadendo. E di volersi spendere per salvaguardare la nostra attività lavorativa. Non vogliamo usufruire di ammortizzatori sociali. Non vogliamo far parte di coloro che, come qualche forza politica sta richiedendo, avrebbero diritto al reddito di cittadinanza. Noi vogliamo solo lavorare e guadagnare il nostro salario in maniera onesta. Ricordiamoci che l’articolo 1 della nostra Costituzione, tanto difesa dai nostri politici, enuncia che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.”. E qui, questo, sta venendo meno. Mi auguro che questo mio sfogo possa raggiungere chi ha potere e può trovare una soluzione alternativa al “nostro” licenziamento. Non dobbiamo elemosinare un lavoro. Non vogliamo che qualcuno per noi provi “pena”. Siamo professionisti nel settore. Abbiamo sempre garantito ed erogato qualità in tutto quello che abbiamo svolto. Spero vivamente che l’attenzione dei nostri politici, del Presidente della Repubblica, di Don Ciotti e di tutti gli altri si riversi sulla nostra Città e su tale situazione in modo da fronteggiarla e scongiurare che la procedura aperta arrivi all’esito finale che sembra già essere stato scritto. Non domani, non in futuro. Ma oggi. Hic et nunc.