C’è un viaggio che si compie da un continente all’altro, a bordo di imbarcazioni malconce e maleodoranti in cerca di fortuna, e c’è un peregrinare infinito all’interno della propria anima alla ricerca del senso della vita. “Sabardì che sfidò l’oceano” (2017, Città del Sole edizioni) è il romanzo d’esordio di Paolo Fragomeni, docente, sportivo, rappresentante istituzionale, ma soprattutto animo nobile e sensibile, che mostra una capacità narrativa piacevolmente sorprendente, partendo da un “cuntu”, un racconto di paese tramandato di generazione in generazione, su cui si sviluppa una storia ambientata nella Siderno dell’Ottocento, quella del borgo antico collinare coi suoi costumi, i suoi ritmi dettati dalla natura, le sue gerarchie sociali.
E nella storia di un giovane spiantato che a un certo punto decide di partire “per rabbia e per amore”, s’intersecano a meraviglia altre vicende umane di personaggi che quando vengono descritti, assurgono a protagonisti: il signorotto di paese “don Attilio”, lo “zio Micu” che si ribella alla sua arroganza, la bella e impossibile Annuzza e i suoi fratelli “forgiari” gelosi e violenti, gli amici “americani” Rocco e Teresa e gli sgangherati gangster d’oltreoceano che offrivano “protezione” ai connazionali immigrati.
La storia di Sabardì è comune alla sua generazione, ma viene narrata meravigliosamente tanto da catturare il lettore fin dalle prime pagine. Animo romantico, Paolo Fragomeni appare come una sorta di Carmine Abate della Calabria meridionale, col suo amore viscerale per la natura, per le tradizioni contadine e il lessico ad esse correlato, per quelle colline dalle quali anche lui, come il Sabardì più adulto e riflessivo, ammira l’alba da una posizione privilegiata, proprio sopra quel mare dal quale ogni mattina si eleva la sfera luminosa del sole e da cui partirono le barche verso quella Napoli capitale di uno stato reso unitario da una fusione a temperature roventi giocata sul sangue dei meridionali, specie quelli più poveri e indifesi.
Nella vicenda umana e personale di Sabardì c’è il moto di orgoglio (più che di ribellione) di un diseredato come tanti dell’epoca, che trova la sua America, ma per ritrovare il senso della vita ha bisogno, a un certo punto, di tornare al suo paese d’origine sulla scia dei ricordi e delle illusioni del tempo che fu.
Leggere Sabardì aiuta a comprendere meglio le nostre origini e le generazioni passate, a riflettere sulla nostra essenza e sul perché certe tradizioni continuino a tramandarsi.
E a capire, qualora ce ne fosse bisogno, che viviamo solo di “luci nel buio di case intraviste da un treno”, come canta il Guccini di “Incontro”, ovvero di attimi, di momenti speciali che si stagliano sul tappeto dell’esistenza biologica e la fanno diventare vita.
Gianluca Albanese