di Giuseppe Racco*
SIDERNO – Con riferimento alla querelle relativa all’ordinanza emessa dal Comune di Siderno, nella persona del sindaco Pietro Fuda, nei confronti dell’attività commerciale ad insegna “MADA’” posta sul lungomare di Siderno, ho avvertito la necessità, come cittadino, di esprimere legittime considerazioni circa il “caso” dell’estate 2017. Le valutazioni espresse sul tema, in particolare dai rappresentanti dell’opposizione consiliare, appaiono, a mio modesto parere, alquanto strumentali, forzate dalla necessità di intervenire al solo fine di “dare addosso all’amministrazione comunale”.
Si è parlato, da più parti, di un’ordinanza tesa a danneggiare le iniziative imprenditoriali giovanili, di un lungomare che appare un cimitero, di mancanza di lungimiranza da parte dell’amministrazione, contestando la legittimità del provvedimento amministrativo. Si è dimenticato, però, di affermare che l’ordinanza de quo scaturisce da un esposto presentato al Comune da taluni cittadini, alcuni dei quali risiedono a meno di trenta metri dall’attività commerciale, e non da un intervento discrezionale tolto dal cilindro magico.
Provate a vivere in via dei Pescatori.
Forse è giusto pensare che qualcuno abbia avuto il coraggio di contestare, con senso civico, situazione alquanto inusuale dalle nostre parti, l’operato del gestore al solo fine di tutelare la propria salute. Cosa avrebbe dovuto fare l’amministrazione comunale? Probabilmente stare a guardare.
Ai sensi della legge n. 447/95 sull’inquinamento acustico, l’ordinanza, impropriamente definita “ad personam”, rimane, al contrario, nel potere del sindaco. Essa assume carattere contingibile e urgente, tant’è che consolidata giurisprudenza del Tar e della Suprema Corte riconoscono il potere del primo cittadino di assumere provvedimenti del caso ogni qualvolta ciò sia richiesto da eccezionali ed urgenti necessità di tutela della salute pubblica o dell’ambiente, che abbiano come finalità quella di ordinare il ricorso temporaneo a speciali forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore, inclusa l’inibitoria parziale o totale di determinate attività (art. 9 legge. N. 447/1995).
Il Tar dell’Umbria, ad esempio, con sentenza 271/11, ha chiarito che, al fine di fronteggiare l’inquinamento acustico, il sindaco è titolare di un potere generale di ordinanza in materia di sanità ed igiene onde prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini (art. 54 comma 2, Dlgs. N. 267/00). D’altra parte, l’intervento del sindaco si adegua ad una serie di pronunce giurisprudenziali che invitano a considerare come precipuo interesse il diritto alla salute sancito dall’art. 32 della Carta Costituzionale, che concerne i cosiddetti valori limiti differenziali che fanno riferimento non a un generico impatto acustico, bensì, al rumore percepito dalla singola persona o da un singolo nucleo familiare. La legge, inoltre, prevede all’art. 8 un onere amministrativo molto chiaro: all’atto della richiesta della licenza o della presentazione della Scia, il gestore deve presentare al Comune un documento denominato Previsione di impatto acustico, a firma di un tecnico abilitato, iscritto nell’elenco dei tecnici fonometrici. Il documento viene inviato dal Comune all’Agenzia regionale per l’ambiente e fatto valutare sotto il profilo formale e sostanziale dai funzionari tecnici dell’amministrazione pubblica che esprimono un parere e talvolta delle prescrizioni.
E allora: chi ha presentato il documento o la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà con cui l’esercente dichiara il non superamento dei limiti acustici di legge? Probabilmente scopriremmo, come ha riferito il sindaco, che molti esercizi risulterebbero fuori legge. In effetti, l’Arpacal può intervenire solo dopo che è stata depositata la dichiarazione di impatto acustico. E qui, a mio parere, per senso di responsabilità, gli uffici competenti dovrebbero fornire quantomeno delle spiegazioni in merito. Per altrettanto senso di responsabilità, però, i consiglieri comunali d’opposizione avrebbero dovuto ammettere che si è di fronte ad una diffusa illegalità, quale conseguenza di un modo di pensare e di agire.
La situazione, pertanto, appare complessa.
Più opportuno e corretto sarebbe stato, da parte di tutti, gettare acqua sul fuoco, viaggiando sul binario del buon senso. La verità è che la comunità sidernese non è abituata alla contestazione del cittadino, al senso critico e, per giustificare la sua ignavia, usa con poca parsimonia il tanto desiderato tema dell’iniziativa imprenditoriale e dell’occupazione, non riuscendo o non volendo guardare oltre il proprio naso. Come se l’occupazione dipendesse dall’operare di un singolo commerciante e non da un progetto serio e comune che dia dignità e decoro a un paese che sprofonda sempre di più in beceri individualismi, anziché acquisire coscienza che solo l’educazione al benessere collettivo rappresenta la strada che può condurre all’impresa reale, all’occupazione reale. Come se l’iniziativa imprenditoriale fosse legata solo ai rumori musicali di un’infinità di locali che aprono e chiudono e non anche a iniziative in altri settori.
Come disse Benigni in un noto film: “il problema di questa città è il traffico”. Forse la Siderno dei morti viventi, che cammina sul lungomare di sera, è espressione di chi non ha la dignità di ribellarsi e preferisce tacere.
*: avvocato
Concordo pienamente con il commento dell’Avv. Giuseppe Racco, preciso nel ricostruire i fatti e nel corroborarli con mirabile acume, ricerca della verità e conoscenza normativa. Un intervento assolutamente di livello: parole come pietre su una vicenda che sottolinea la scarsa credibilità di una politica debole, che mette in secondo piano il rispetto delle norme e della salute pubblica; ma anche monito serio a una società civile vittima dell’ignavia e spesso priva di quel senso civico che dovrebbe migliorare la vita delle nostre Comunità.