di Gianluca Albanese
GIOIOSA IONICA – Coniugare il metodo scientifico e accademico nell’analisi del Paese e del ruolo del partito in seno ad esso, l’approccio pragmatico alla risoluzione delle grandi criticità nazionali tipico di chi ha fatto il ministro in un governo tecnico come l’esecutivo Monti con un linguaggio schietto e diretto capace di parlare alla pancia della gente e a risvegliare la passione per la partecipazione politica, è una vera e propria utopia. A Fabrizio Barca, però, tutto ciò riesce in maniera incredibilmente naturale.
La tappa gioiosana del suo viaggio in Italia per presentare il suo documento dal titolo “Un partito nuovo per un buon governo” è stata un successo senza precedenti, da queste parti e di questi tempi. Tre ore e mezza di discussione partecipata da un pubblico numerosissimo che ha affollato la terrazza Gatto come non si vedeva da una vita. Segno, probabilmente, che la gente ha bisogno di riferimenti politici chiari ed autorevoli, che non vengono a fare passerelle ma parlano, spiegano e soprattutto ascoltano. Esattamente quello che ha fatto Barca che ritiene tutto ciò «Una cosa assolutamente normale, ed un partito che non è capace di fare questo – ha spiegato – non è normale». Un successo che il circolo cittadino del Pd, e in particolare il membro del comitato di reggenza in attesa del prossimo congresso Antonio Larosa, incassano con pieno merito.
E’ stato lo stesso Larosa a fare gli onori di casa e a dire che «Il documento di Barca deve prendere corpo e riempirsi di contenuti che vanno al di là della mera enunciazione teorica grazie ai contributi di tutti. Barca antepone a qualsiasi mira personale i contenuti del dibattito nel partito. Una cosa rivoluzionaria nella discussione asfittica del dibattito nello stesso Pd e nel centrosinistra» e, in vista del dibattito, tiene a fissare i paletti: «Non vogliamo ascoltare nessuna bega congressuale: stasera si parla solo di contenuti».
Ilario Ammendolia è il primo dei relatori a intervenire. L’ex sindaco di Caulonia spiega che uno dei meriti del documento dell’ex ministro sta nel fatto che «Barca vede il partito come una palestra per dare conoscenze alla gente e modificare la realtà. Non più partito massa e scuola di vita ma con un forte radicamento territoriale». Snocciola una serie di riflessioni sul leaderismo che ha segnato la fine dei partiti, sui maggiorenti che presidiano troppo i salotti televisivi e i Palazzi e che non stanno più in mezzo alla gente e dell’esigenza di un partito che sappia recepire le istanze del territorio e dare loro forza. «Il progetto d’urto della Locride – ha spiegato – non si è realizzato perché sono mancati i partiti, soprattutto il Pd. Sta a noi formarlo».
Da un veterano della politica a una giovane scrittrice come Katia Colica che parla di concetti romantici come resistenza «che – ha detto – va trasformata prima in lotta e poi in forza» e dell’esigenza di una sinistra capace di risolvere i problemi della gente, in primis dei precari. «Se la sinistra non si salva – ha detto – non ci salviamo nemmeno noi. Alla sinistra chiedo un atto di coraggio: deve imparare a rischiare. Senza più la paura di perdere. Assumendosi le proprie responsabilità».
Quando Barca prende la parola la platea sterminata lo ascolta in silenzio e con la massima attenzione. Riesce a coniugare la forte critica alla classe dirigente del partito alla necessità di partecipare alla vita dello stesso come unica via d’uscita per cambiare le cose in meglio.
L’ANALISI
Dice che il problema non è la mancanza di finanziamenti per lo sviluppo «Ce ne sono stati – ha detto – a iosa» o della mancanza di potere per chi amministra, ma dice, senza mezzi termini e strappando applausi a profusione, che «Noi stiamo così perché le classi dirigenti di questo paese vogliono rimanere in questo stato di cose». Quindi, rincara la dose «Evidentemente – ha rilanciato – chi detiene il potere ottiene delle rendite da questa situazione. La cosa eclatante – ha proseguito – è che in Italia non funziona lo Stato. Non soddisfa i diritti di cittadinanza. È segno di una rottura fondamentale di un contratto sociale. Allo stato riconosciamo il monopolio della violenza e il diritto di metterci le imposte, ma non siamo messi nelle condizioni di realizzare l’articolo 3 della Costituzione. Non fruiamo di sanità, di servizi in genere. Rotto questo contratto non riconosciamo più allo stato il monopolio della violenza e questo trova consenso sentendoci autorizzati a non seguire più le regole basilari». Locke, Rousseau e così via riecheggiano nelle menti di militanti e simpatizzanti che tornano studenti. Fino a catapultarli di nuovo nella situazione dei giorni nostri. «La giustizia – ha detto Barca – qui è solo una fonte di lavoro. Si difende la localizzazione dei tribunali solo per non perdere posti di lavoro. Allo stato non chiedi più beni generali ma particolari. Niente giustizia ma rapporti particolari con le classi dirigenti, favori». Da questo all’approccio culturale dominante il passo è breve. «Sembriamo – ha aggiunto – rassegnati a non cambiare perché sarebbe la nostra stessa natura a impedircelo ed è una vulgata che troppi avallano, specie una classe dirigente cinica». Prima dello slancio tipico della sinistra del ‘900 (dalla quale proviene) non manca un monito dal sapore quasi renziano: «La classe dirigente corrotta e inetta se ne deve andare perchè l’Italia è nella trappola del sottosviluppo».
Finito? Macché. Perché viene subito il turno delle “cose di sinistra” che tanto sarebbero piaciute al Nanni Moretti di “Aprile”. «Se non cambi in maniera radicale, che è quello che vuole la gente, prendi batoste elettorali. Se il partito non rischia – ha aggiunto – la gente vota per chi le garantisce dei beni particolari. Il messaggio deve essere di cambiamento radicale». Poi, un piccolo sbandamento verso i principi liberali. «Sulla mafia, non c’è discontinuità qui col resto del Paese. La mafia non è estranea alla logica di un paese illiberale che crea ostacoli alla concorrenza. La mafia muore dove c’è libera concorrenza».
LE PROPOSTE FORTI
Superato il concetto di lotta di classe, si passa a quello di lotta di società. Le cose da fare? Secondo Barca «Non c’è cambiamento senza conflitto. Certo, vogliamo evitare fenomeni come Alba dorata, l’uscita dall’euro zona e le rivoluzioni del Nord Africa. Ma ci vuole conflitto, dunque partecipazione che implica voce e conoscenza. Vanno mobilitate le conoscenze sparse in tutta Italia. Non ci si può fidare solo di pochi tecnocrati. Ci vuole una mobilitazione cognitiva. Non è più tempo di avanguardie del proletariato ma di ascolto delle tante intelligenze presenti nel Paese».
IL PD
Secondo Barca «Per fare tutto questo serve un partito. Servono i gazebo in prima linea sulla cose che evidenziano e denunciano i fallimenti dello Stato e non solo per le primarie. Il partito deve intervenire anche nei territori quando le cose non funzionano. Il Pd è quello che noi decideremmo che esso sia. Però dobbiamo metterci la faccia tutti e partecipare. Anche se a volte ho votato Sel».
LA ROAD MAP
«Non è tardi – ha detto Barca – se facciamo tre cose: usare le elezioni europee per dare una scossa. L’Europa ha bisogno di un ministro del Tesoro che acceleri l’integrazione politica. Seconda cosa: flessibilità del patto europeo di stabilità per riavviare gli investimenti. La portabilità sociale dei diritti è la terza cosa. Quindi, serve l’assedio ai gruppi dirigenti nazionali. Non ho capito – ha detto Barca – se il cambiamento propugnato da Renzi sia sulla idee e sui contenuti e non sulla proposizione di una nuova cordata. Qui i vari Rodota’, Settis e Landini ci possono aiutare, purché rifuggano l’idea di fondare l’ennesimo nuovo partito. Chiediamo di restituire in primis i fondi per l’infanzia e l’Adi. Vogliamo presidio e battaglia su priorità sostenibili a livello locale, perché questo facilita una saldatura prassi-teoria».
IL DIBATTITO
Sono in tanti a intervenire e questo è già segno che l’incontro ha centrato l’obiettivo. Quando Barca parla di stop ai finanziamenti e alle stabilizzazioni tout court per tutti raccoglie il plauso del renziano sidernese Angelo Errigo e del candidato sindaco di Catanzaro Salvatore Scalzo. Viene sollecitato su vari temi, come la Giustizia e i Trasporti, e al cronista che gli chiede se il suo partito-palestra rappresenti l’inversione della piramide disegnata dall’idea originaria del Pd, ovvero quella di Veltroni che lo vedeva come una “cabina di regia delle realtà associative presenti nel territorio”, Barca risponde che «Non si può rinunciare a una guida dall’alto, ma il partito più che a una piramide deve somigliare a una clessidra in cui la base dà al vertice e viceversa».
LA SUA CANDIDATURA ALLA SEGRETERIA NAZIONALE
La domanda nasce spontanea: come fa un’idea così affascinante, composita e coinvolgente come il suo concetto di Pd realizzarsi compiutamente se non cammina sulle gambe di un Fabrizio Barca candidato alla segreteria nazionale? Barca risponde che «Sono iscritto al partito solo da cinque mesi. Non conosco il 95% della classe dirigente e il 95% di questa non conosce me: non vedo perché loro dovrebbero fidarsi di me o, soprattutto, perché io mi dovrei fidare di quadri che non conosco. Di certo – ha concluso – continuerò sempre a dare il mio contributo in termini di proposte e idee, perchè un partito che non va sul territorio ad ascoltare le istanze della gente non è normale, non è il PD».