di Gianluca Albanese
SIDERNO – La sua è una storia che tutti i nati dagli anni ’80 in poi devono conoscere. E che lui aveva il diritto-dovere di raccontare. E’ uscito da poco “Io corro da solo” (2017, Gemini Grafica Editrice) , il libro scritto da Francesco Panetta, sidernese di origine, campione mondiale nei 3000 siepi e vice campione iridato nei 10.000 ai campionati del 1987 a Roma. Sono i due momenti apicali della sua splendida carriera di atleta, insieme al titolo di campione europeo nei 3000 sipei a Spalato nel 1990.
Ma Francesco ha vinto pure una miriade di altre competizioni, sin dai tempi della militanza giovanile all’Usal Siderno, prima di spiccare volo verso quella Milano che a tutt’oggi è la sua città.
Un talento naturale, il suo, coltivato dai tempi in cui uscendo da scuola correva tra uliveti, fiumare secche e spiagge meravigliosamente deserte. «Perché – come spiega la quarta di copertina – correre è uno stato d’animo, è un modo di essere. Correre è uno stato di grazia! Io sono stato esattamente questo! Uno stato di grazia! Io sono stato la corsa».
Il “Frank” – così iniziarono a soprannominarlo all’inizio della sua esperienza milanese è sempre rimasto fedele a sé stesso, e ha sempre detto quello che pensava. A costo di furibondi scontri con il suo primo allenatore Giorgio Rondelli o acerrime rivalità con gli avversari di un tempo, come Stefano Mei e il marocchino Said Aouita. Che si trattasse del “bullo” – oggi lo chiameremmo così – più grande ai tempi della sua adolescenza (e che Francesco seminava facilmente con una delle sue mitiche corse) o della selva di giornalisti sportivi sempre pronti a sollevare il caso negli anni della sua maturità sportiva, Francesco, anzi…”Il Frank” ha sempre affrontato tutti a muso duro.
A Siderno non viene più da anni, ma a noi, che lo ricordiamo agli esordi della sua attività, correre coi capelli lunghissimi e gli occhiali spessi da miope sulla circonvallazione – tra gli sguardi perplessi e anche un po’ ironici dei compaesani del tempo, poco avvezzi alla pratica del podismo – fa molto piacere che i primi tre capitoli del suo libro siano dedicati alla “sua” Siderno: quella dei cortili e delle strade con poche macchine, della prima gara vinta battendo il temibilissimo avversario dell’epoca Benito Belligerante – a quest’ultimo è dedicato il terzo capitolo del libro – e quella degli anni dell’età più verde, quando aspettava per mesi il ritorno del padre imbarcato, che un giorno gli regalò il suo primo paio di scarpe Adidas SL76 che, insieme ai pantaloncini di raso rosso cuciti dalla mamma, costituirono il suo primo equipaggiamento “tecnico”, sostituendo i jeans tagliati e le infradito ai piedi.
Da Siderno a Milano, da Francesco a “Frank” il passo fu breve. La città divenne in breve tempo familiare, coi suoi amori giovanili, le trasferte da una parte all’altra della città per allenarsi, le corse contro il tram e la prima utilitaria di proprietà, una “A112” che lo affrancò per qualche tempo dalla dipendenza dai mezzi pubblici.
Chi si aspetta di trovare nel libro tabelle di allenamento e consigli tecnici sulla corsa, ha sbagliato strada. Francesco, infatti, diffida dagli ex atleti che dispensano consigli e indicazioni agli appassionati che, come dice lui «Corrono per moda o…”like a deejay”»; no, nel libro ci sono tantissimi aneddoti vissuti dal ragazzo Francesco, prima ancora che dall’atleta. Certo, i due aspetti s’intersecavano inevitabilmente, ma dalla lettura tutta d’un fiato delle pagine del libro, si coglie tutta la sua essenza più vera. Dal disprezzo dell’uso del doping da parte di molti colleghi che abbassavano lo sguardo quando incrociavano il suo a quella prestigiosa competizione internazionale di fine carriera in cui aiutò il suo “successore” e amico Alessandro Lambruschini a rialzarsi fino a condurlo alla vittoria finale.
Lui che odiava il doping e diffidava dagli intrugli a base di integratori, una volta vinse una gara che non avrebbe dovuto correre (visto che non era in programma) dopo aver ingurgitato a pranzo, pizza, due birre medie e una porzione di profitterol.
Lui che dopo una notte passata in treno viaggiando per Milano con suo zio, non potette completare la gara, per disputare la quale l’Usal Siderno finanziò la sua trasferta con una riffa, per un banale infortunio in una camera d’albergo presa la sera prima.
Lui che mal tollerava le strategie di gara imposte dagli allenatori e preferiva, da buon “front runner” imporre il suo ritmo fin dall’inizio.
Tra i tanti aneddoti narrati, c’è perfino uno clamoroso del dopo gara, qualche ora dopo la sua vittoria più bella, che avrebbe potuto avere conseguenze più gravi, per via di un incidente diplomatico che si stava, involontariamente, creando.
Ci manca, Francesco Panetta.
Ci manca quella Siderno di un tempo che fu, quando le pay tv non esistevano e ci si radunava nella sala di un cinema per assistere alla proiezione in diretta delle sue gare. Ci mancano le sfilate e i caroselli di auto dopo ogni sua vittoria e ci mancano anche quei treni a lunga percorrenza che permisero le sue trasferte a Milano.
Le sue vittorie diedero la stura alla creazione di un grande movimento che mise Siderno, negli anni ’90, al centro dell’atletica nazionale, con i “Giochi Ionici” organizzati nello stadio comunale che vantava una pista di atletica all’avanguardia.
Un esempio, il suo, che le giovani generazioni di sportivi così avvezzi alle scarpe più evolute e agli integratori di ultima generazione devono conoscere, per riscoprire i valori dello sport, quello con la “S” maiuscola, che lui, nella sua gloriosa carriera, ha saputo incarnare come pochi altri al mondo.