R. & P.
Il recente intervento di Filippo Todaro su Riviera (12 maggio ’18) si conclude partendo dalla considerazione che le Università calabresi dovrebbero intensificare il proprio rapporto con il territorio. Leggendo le sue parole non ho potuto che ripensare a due fenomeni largamente noti: la scarsa propensione dei Calabresi a concludere (e ormai anche ad intraprendere) gli studi del terzo ciclo e la fuga costante dei laureati.
A proposito del primo punto bisogna procedere a sfatare una leggenda metropolitana: in Italia e, a maggior ragione, in Calabria i laureati non sono troppi e neanche molti, ma molto pochi. Il rapporto annuale OCSE Education at a glance ci ricorda di edizione in edizione che la nostra regione è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati sulla popolazione totale e che l’Italia nel complesso non può vantare posizionamenti molto più lusinghieri. Inoltre le fonti statistiche mettono in evidenza come i nostri laureati non abbiano particolari preferenze per le discipline umanistiche o economico-giuridiche rispetto a quelle di altri paesi: le percentuali dei laureati in queste materie sul totale non riservano particolari sorprese se confrontata con quelle di altri paesi avanzati.
Le iscrizioni alle Università calabresi dal 2008 in poi hanno registrato uno spaventoso calo che si è arrestato recentissimamente, ma senza alcuna ripresa significativa, come attestato dalla banca dati governativa e liberamente consultabile anagrafe.miur.it, mentre un numero di giovani Calabresi che diminuisce in valore assoluto, ma aumenta in relazione al totale degli iscritti, preferisce rivolgersi alle Università che si trovano fuori dalla nostra regione. Almalaurea (l’osservatorio interuniversitario sulle carriere postlaurea) conferma che meno di un quinto di costoro, una volta raggiunto il traguardo del titolo accademico, tornano nella terra di origine. In sovrammercato dalle regioni meridionali (tra cui la nostra) ogni anno parte per avviare la propria carriera una quota cospicua di quelli che hanno compiuto gli studi universitari: uno studio apparso sull’ultimo numero della Rivista Economica del Mezzogiorno attesta che il Sud nel suo complesso ha perso 200.000 laureati a causa del fenomeno migratorio tra il 2000 e il 2015.
In questo quadro, cosa significa concretamente intensificare il rapporto con il territorio se non curare molto più attentamente gli aspetti della formazione legati con le particolari condizioni di lavoro che la nostra regione permette? Il problema non è tanto da ricondurre al titolo universitario o alla qualifica professionale conseguiti, come spesso si dice per colpevolizzare i neolaureati che avrebbero scelto male il proprio percorso (graziando coloro che hanno reali responsabilità), quanto all’interesse ancora non sufficientemente sviluppato delle istituzioni accademiche (e non solo) per le peculiarità del mercato locale del lavoro in cui i laureati che sfornano si troveranno ad operare. Poche imprese medie o grandi, scarsa disponibilità di credito bancario e altre difficoltà non possono che indurre persone che sono formate per fare i dipendenti o, al più, i liberi professionisti a emigrare. In attesa che, come auspichiamo, lo stato e gli enti locali provvedano a completare gli organici delle amministrazioni periferiche (ad esempio, dei Beni Culturali e della Giustizia), assorbendo una parte delle competenze dei nostri giovani più validi e mettendole al lavoro nella loro terra, sarebbe opportuno che le università iniziassero a porsi la questione di aiutare gli studenti e i giovani laureati calabresi a non disperdersi in una guerra tra poveri o nell’emigrazione, ma a unire le proprie forze, anche a piccoli gruppi per sviluppare adeguatamente alcune idee imprenditoriali, anche a forte indirizzo di impresa sociale, che pure ci sono. Fare orientamento in uscita è un obbligo per le Università, ma un obbligo ad oggi sostanzialmente inevaso, se non per quanto riguarda qualche adempimento burocratico. La mia naturalmente non vuole essere una critica o peggio una polemica, ma più modestamente uno stimolo all’autocritica, perché se certamente nessuno ha una ricetta già pronta da seguire, neppure si può pensare che ci sia qualcuno esentato dall’impegnarsi per cambiare l’attuale, grave, stato di cose.
VINCENZO TAVERNESE
Calabria 2025