R. & P.
No, grazie, Klaus Davi, per aver pensato alla candidatura a sindaco per la città di San Luca. Con tutto il riconoscimento dell’attenzione e il rispetto delle buone intenzioni, grazie, no. Mi candido piuttosto io stesso. La Calabria e l’Italia del Meridione tutt’insieme non hanno bisogno della visibilità mediatica, che continua a far risaltare la “questione meridionale” come incapacità di sviluppo e criminalità. La questione meridionale è vostra, l’Italia del Meridione è nostra. Non è accettabile, con tutto il rispetto delle intenzioni, che la Calabria sia “mediatizzata”, “neocolonizzata”, così com’è “commissariata”, “piantanata” e “isolata” da scelte economiche nazionali “distratte”. A chi ci ha tolto la storia, rispondiamo prendendoci l’autonomia. Grazie, facciamo da soli. A chi fin qui ha girato le spalle, lasciamo il suo modello di sviluppo e di comunicazione, il futuro nostro segue un’altra via, quella della bellezza senza artificio e del bene dei legami per una comunità sociale in una società comune.
Ci candidiamo noi dell’Italia del Meridione. San Luca va ascoltata, sentita dentro. Ascoltare è voler bene e quando è per una cittadina, ascoltarla è volere il bene comune di chi l’abita e vive. L’imprenditoria spicciola, le start up e il “reddito d’inclusione” o di “cittadinanza”, che è lo stesso lo lasciamo a chi si crede di viaggiare nello spazio “social” mentre noi restiamo sulle nostre terre, per il reddito da lavoro. Le nostre terre sono il nostro corpo, questo è difficile da capire altrove, sono il nostro respiro. La differenza è questa. Il pensiero personale è sempre quello: a chi giova l’illegalità? e chi la subisce? A noi, qui, non giova. La legalità è fatta di legami. Anche la libertà è fatta di legami, nessuno è libero da solo. Amministrare una città come governare un paese non significa tenere la lista delle “cose” da fare ma promuovere i “legami” sociali. Non si scelgono mai le cose se non in funzione dei legami sociali che permettono di realizzare. Questa è stata la “rovina” della politica delle “cose da fare”, com’è ancora è nell’immagine del “contratto delle cose” nella prospettiva del possibile governo. Le nuove versioni “nazionalistiche” del “contratto sociale” di Rousseau sono in linea con quanti dicono che “sanno fare”, questa è la traduzione del Know How che chiunque dice di possedere, facendo la lista elettorale su turismo e start up.
Le condizioni spiegano le cose, le giustificano anche, sono poi le relazioni che cambiano cose e situazioni. Fin quando la politica non sarà anche formativa, fin quando un paese, una cittadina non si fa scuola della sua storia e del suo futuro, dei suoi legami sociali, fuori della logica ristretta di legami associativi e aziendali d’interessi ristretti o privati, fin quando si continuano a “sapere fare le cose”, si resta senza ragione e sentimento. Ancora non capiamo? La differenza è questa, è tra il modello di sviluppo delle cose e quello di processo di formazione sociale personale, da non confondere con competenze e competizioni. Abbiamo bisogno di società comune e di comunità sociali. L’Italia del Meridione è questa e si candida a questo. Il bene comune non è una “cosa”, ma il è il modo in cui si sta insieme mirando al bene di tutti. La differenza è qui. Quando la politica non è etica, deraglia verso forme di organizzazioni illegali che “cattivi pensieri” fanno intendere che siano a sostegno di un modello di legalità senza legami sociali. Non è lo “share”, non è la “quota” a fare l’economia di sviluppo, ma la qualità dei legami sociali.
Il grado di libertà per ognuno si misura dalla qualità dei propri legami, anche la libertà di un Paese si misura dalla qualità dei legami sociali di partecipazioni di voci. L’Italia uscita dal voto del 4 marzo riproduce la geografia politica dello stato preunitario del Paese. Deve far riflettere. Invece che a contare se siamo nella prima o terza Repubblica, bisogna capire che siamo al passaggio necessario dall’Unità d’Italia come misura unica all’Unione del Paese come espressione delle autonomie sociali, insieme. Fin qui è stata Unità senza Unione. Vale lo stesso per l’Europa, da qui possiamo perciò dare contributi inattesi. Per fare il “bene” di San Luca bisogna amministrare bene “Belluno”, pensando al bene comune dell’unione sociale delle autonomie del Paese.
La Calabria è una regione che conta un numero di abitanti inferiore a quella di una grande Città. La Calabria è un arcipelago di comunità, è la regione più ospitale del Paese dove abitano e vivono comunità albanesi, greche, valdesi, africane. La Calabria è però senza ferrovie, senza comunicazione, con una classe politica (si fa per dire) impiegata statale a mantenere la “legalità” del paese con spese illegali, stipendiati da enti pubblici come a pagamento del mutuo di una colonizzazione che continua a tenere diviso il Paese. L’illegalità è dove c’è il deserto in mezzo alla ricchezza, dove la desolazione è isolamento di comunicazione e la disperazione è l’unica sfogo di una passione che si è distorta, deragliando il desiderio di una comunità sociale. La Locride era riconosciuta come la culla della democrazia e del progresso civile. Platone dedicò a Timeo di Locri, in omaggio esplicito, il dialogo sulla costruzione del governo della Città ispirato all’armonia dell’universo. Grazie, Klaus, ammiro l’intenzione, la sollecitazione, il sentimento, ma no, grazie, è un altro il Know How che ci serve, non quello delle cose, che si elencano nelle elezioni e che si leggono nelle tesi di laurea degli studenti di turismo. Ci servono le relazioni, i legami, a partire dall’unione sociale delle autonomie del paese. San Luca non è una città da conquistare, ma da ascoltare.
La Calabria ha quasi due milione di abitanti, ma i Calabresi nel mondo sono milioni, bisognerà pure chiedersi dove e come sono finiti altrove e quelli che restano o finiscono in carcere o nella disperazione dell’illegalità funzionale alla legalità di pochi per l’interesse di alcuni. Quella di San Luca potrà anche essere una protesta, che come nel frastuono delle voci non viene capita perché non sentita. Ascoltarla significa andarci ad amministrare non per aggiustare e fare le cose, ma avanzare giustizia e legami sociali, perché la libertà è fatta di legami, anche la legalità è fatta di legami, quelli che realizzano il modo di stare insieme per una società comune in una comunità sociale.
Giuseppe Ferraro