di Gianluca Albanese
MARINA DI GIOIOSA IONICA – Il titolo è un calembour (per altro mal riuscito), ottenuto sostituendo solo la prima sillaba di quello di un bestseller, un “Oscar Mondadori” scritto da Alberto Franceschini, in cui “Mara” sta per Mara Cagol, “Renato”, per Renato Curcio e “io” per lo stesso Alberto Franceschini, brigatista rosso pentito.
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In realtà, Raffaele “Rarà” Gennaro con le brigate rosse non c’entra nulla. Ma per chi è nato parecchi anni dopo i fatti per i quali è stato condannato sarebbe importante rileggere quel libro per capire il clima che si respirava negli anni ’70, in ispecial modo nelle realtà metropolitane.
Per comprendere come fosse facile, in quegli anni, per un ragazzo di provincia e di sani principi, con in testa l’ideale di una società più giusta e più equa, venire a contatto con chi, attraverso un percorso a volte nemmeno troppo tortuoso, aveva già abbracciato la lotta armata.
Fu così per Franceschini, affascinato e spronato da un anziano partigiano che gli donò una vecchia pistola, un vetusto residuato bellico della Resistenza per fare subito la rivoluzione; fu così per il contadino Prospero Gallinari. Dalla provincia alla città, dall’Emilia Romagna a Milano, a lottare contro tutto e tutti: contro lo Stato borghese, contro gli odiati fascisti riorganizzati in una galassia (anch’essa armata) di movimenti, perfino contro il Pci, il partito comunista considerato “imborghesito” e vecchio, come i suoi militanti, tra cui molti padri di quei giovani ribelli e contestatori.
Furono anni di botte da orbi, di militanti dei centri sociali accoltellati e uccisi (come Fausto e Iaio del “Leoncavallo”), di famiglie arse vive nella propria abitazione (il “rogo di Primavalle”) e di tanti episodi delittuosi. A Milano come a Roma.
E in quel clima, in cui si cantavano canzoni come “Mio caro padrone, domani ti sparo” e “Contessa” e in cui per strada si agitavano pesanti chiavi inglesi a mo’ di armi improprie, urlando slogan particolarmente truci come “Hazet 36, fascista dove sei?” era facile venire a contatto con chi, con la scusa dell’antifascismo militante aveva dimestichezza con le bombe con la “miccia corta” (dal titolo dell’omonimo libro dell’ex terrorista Sergio Segio).
La lotta, infatti, si conduceva ovunque: per strada, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università. Proprio dalla facoltà romana di Architettura di “Valle Giulia” iniziò la rivolta generazionale, proseguita poi con tutta una serie di episodi culminati con la cacciata dell’allora segretario generale della Cgil Luciano Lama dall’ateneo. Un “compagno”, che per le logiche che imperavano in quegli anni, era comunque considerato anch’esso un nemico.
Rarà Gennaro, in quegli anni, era uno studente del Policlinico, con idee di sinistra che lo portarono ben presto ad aderire al collettivo autonomo e a entrare nell’orbita di Autonomia Operaia. All’epoca, i contatti tra le tante organizzazioni della sinistra extraparlamentare o, come si dice oggi “antagonista”, erano tutt’altro che infrequenti. «Perché non erano a compartimenti stagni», come ha spiegato oggi al cronista lo stesso Gennaro. E in virtù di questa logica, venne a contatto con Prima Linea, la seconda organizzazione armata italiana dopo le Brigate Rosse.
«Obbiettivo costitutivo di PL – si legge sul sito di Wikipedia – è quello di rappresentare l’avanguardia delle masse proletarie e del movimento del ‘77, restando parte delle stesse e senza tramutarsi in una elitè di combattenti: un modo, questo, di condannare il dogmatismo ideologico delle Brigate Rosse, pur condividendo e appoggiando le loro azioni di guerriglia armata contro lo stato italiano. Militarmente, gli esordi della formazione, sono contraddistinti da un’ottica giustizialista all’interno delle fabbriche, con azioni armate (raid delle ronde proletarie) che consistono nel ferimento di capi reparto e dirigenti aziendali,una modalità che ha come obiettivo «più che una presa di potere, una progressiva dissoluzione del potere»».
«Prima Linea – si legge in un volantino di rivendicazione del novembre del 1976 – non è un nuovo nucleo combattente comunista, ma l’aggregazione di vari nuclei guerriglieri che finora hanno agito con sigle diverse ».
A carico del medico di Marina di Gioiosa non ci sono reati di sangue, anzi. Solo il «concorso morale nell’evasione di quattro detenute – ai tempi della lotta armata non c’era bisogno delle “quote rosa” per agevolare la partecipazione delle donne, che fu sempre piuttosto numerosa – dal carcere di Rovigo».
«A differenza del principio cardine del vigente ordinamento giuridico – ha spiegato ancora Gennaro – il virtù del quale la responsabilità penale è personale, nessun accusato venne condannato per favoreggiamento, ma per “concorso morale”, segno che chi doveva giudicare lavorava “all’ingrosso”. In ogni caso – ha concluso – ho sempre accettato la sentenza e ho pagato il mio debito con la giustizia».
Dopo quell’esperienza, i capi di Prima Linea trovarono quasi tutti il modo di reinserirsi brillantemente nella società, una volta pagato il debito con la giustizia: Sergio Segio collabora con don Ciotti, Sergio D’Elia, segretario dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” che combatte contro l’uso della tortura e per la difesa dei diritti umani, nel 2006 è stato anche eletto in Parlamento con la Rosa nel Pugno; destino diverso per Marco Donat-Cattin, che un mese dopo essere uscito di prigione, fece una tragica fine, travolto dalle auto in corsa sull’autostrada, mentre era sceso dalla macchina per segnalare a chi sopraggiungeva la necessità di rallentare per un incidente.
Rarà Gennaro, infine, tornò subito a Marina di Gioiosa, laddove si dedico alla professione medica e all’attività politica, sostenendo l’allora amministrazione guidata da Macrì e Geppo Femia, in giunta dal 2008 al 2011.
Una voglia di spendersi per la comunità che non è cessata e che, anzi, ha trovato nuova linfa nell’esperienza di “Libertà è partecipazione”.
Ora, attende il responso che arriverà, con tutta probabilità, venerdì mattina. Sereno come chi crede nella giustizia, ma nel contempo desideroso di chiudere definitivamente la pagina di un passato lontano, e pagato a un prezzo sufficientemente caro.