R. & P.
Finalmente qualcosa si muove nella vicenda giudiziaria che vede parte lesa un bambino calabrese, di soli nove anni all’epoca dei fatti (oggi ne ha 12), vittima di un grave caso di bullismo che fece scalpore, anche per la giovane età dei soggetti coinvolti. In attesa di sviluppi del procedimento penale pendente presso la Procura ordinaria di Reggio Calabria, per il tramite del Sostituto Procuratore dott. Nunzio De Salvo (si sa che c’è un indagato), si sono concluse le indagini preliminari relative al parallelo fascicolo aperto anche presso la Procura del Tribunale dei Minorenni reggino, con una richiesta di rinvio a giudizio formulata dal Pubblico Ministero Minorile, dott.ssa Giuseppina Latella, a carico di un ragazzo oggi 17enne che allora frequentava lo stesso istituto comprensivo della vittima e di cui sono evidentemente emerse pesanti responsabilità negli episodi persecutori e di violenza denunciati.
Al giovane sono contestati una serie di gravi reati, ai sensi degli art. 110 e 81 c.p. (concorso materiale e reato continuato), 581 (percosse) con la circostanza aggravante di aver commesso il delitto ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione (art. 61 n. 11 ter), e ancora 612 (minacce), 582 (lesioni personali) e 585 (con le suddette circostanze aggravanti). In relazione alla richiesta il Gip dei Tribunale dei Minori in questi giorni ha fissato l’udienza preliminare per il 25 gennaio 2019.
La piccola vittima, che allora, nell’anno scolastico 2015-16, frequentava la terza elementare di un istituto della provincia di Reggio Calabria, era diventato il bersaglio di un gruppo di bulli, compagni di classe, coetanei ma anche alcuni ragazzi più grandicelli, che non perdevano occasione per prenderlo in giro e fargli scherzi di pessimo gusto, come lo zainetto gettato nella spazzatura. La mamma Francesca, vedendo che il figlio rincasava spesso in lacrime, e venuta a conoscenza delle vessazioni a cui era sottoposto, si è recata più volte a scuola, ha parlato con gli insegnanti e il preside, ma l’unica risposta ricevuta è stata il “consiglio” di accompagnare l’alunno e di venirlo a prendere dieci minuti dopo il suono della campanella per evitargli il momento più critico dell’entrata e uscita.
Così, visto anche che l’istituto non prendeva provvedimenti, né con loro né con i genitori, i bulli si sono sentiti autorizzati ad alzare il tiro della loro persecuzione. E le mani. Il 27 gennaio 2016, dopo l’uscita da scuola, nel cortile del plesso, il bimbo è rimasto vittima di un pestaggio perpetrato da compagni di classe e da studenti delle medie e che gli ha procurato botte e contusioni in tutto il corpo, in particolare alla schiena, sul dorso e agli arti. Il piccolo ha avuto bisogno di cure mediche al pronto soccorso dell’ospedale più vicino, dove gli hanno riscontrato una prognosi di 5 giorni salvo complicazioni, ma l’ortopedico, dopo una visita specialistica, gliene ha riconosciuti venti, prolungando in seguito la prognosi di altri dieci. Le ferite fisiche, però, sono state il meno: il bambino ha subìto un profondo shock, non ha più avuto la forza di tornare in quella scuola, ha avuto bisogno di supporto psicologico per superare il trauma e ha iniziato a soffrire di altri problemi, tra cui la bulimia.
A quel punto la madre ha ritenuto di dire basta e di intervenire in modo fermo prima che fosse troppo tardi: attraverso il consulente personale Salvatore Agosta, si è affidata a Studio 3A, società specializzata a livello nazionale nella valutazione delle responsabilità in ogni tipologia di sinistro, a tutela dei diritti dei cittadini, per salvaguardare il ragazzino e ottenere giustizia, non solo e non tanto nei confronti della “baby gang” che ha terrorizzato e picchiato il figlio ma anche e soprattutto verso i loro genitori e chi aveva permesso tutto ciò omettendo di vigilare sulla sicurezza di un alunno che era sotto la sua responsabilità: l’istituto scolastico.
Dove, preside in primis, anche di fronte alle ripetute richieste di spiegazioni e assunzione di responsabilità da parte di Studio 3A, hanno sempre negato, anche contro l’evidenza, che fossero mai successi atti di bullismo a scuola, arrivando persino a rifiutare – inizialmente – il nulla osta richiesto dalla mamma per trasferire il figlio in altro istituto. Per ottenere il “permesso” è stato necessario coinvolgere il Consultorio familiare dell’Azienda Sanitaria Provinciale. Solo di fronte all’attestazione di quest’ultima struttura che il bambino “soffriva di sindrome ansiosa a seguito di vari episodi di bullismo subiti in classe” e che si riteneva “pertanto necessario il trasferimento presso altro plesso scolastico per evitare di sottoporlo ad un costante stress con conseguente peggioramento della patologia”, la sua oggi ex scuola ha “ceduto” e si è potuto iscrivere il piccolo in un altro istituto, dove per lui è iniziata un’altra vita, anche se con tante cicatrici interiori. Attraverso Studio 3A, il 29 febbraio 2016 la donna ha dunque presentato formale querela presso la locale stazione dei carabinieri, con conseguente apertura di più procedimenti penali da parte della magistratura, e ha continuato la sua battaglia nei mesi seguenti, denunciando anche in note trasmissioni televisive il suo caso, il lassismo della Scuola, l’omertà di genitori, insegnanti e operatori scolastici, e l’isolamento a cui è stata condannata per essersi “permessa” di “rompere” quel muro.
La strada per Francesca e il figlio per ottenere giustizia sarà ancora lunga, ma questa richiesta di rinvio a giudizio rappresenta un primo, importante segnale da parte della magistratura circa la fondatezza delle denunce e la gravità dell’accaduto. Nella speranza, però, che vengano presto alla luce tutte quante le responsabilità e che siano chiamati a risponderne dalla giustizia “ordinaria” anche gli adulti.