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LOCRI – Contrada TAFARIA. Poi succede, un giorno, che una tranquilla e periferica area di Locri accenda le sue luci della ribalta. Tal Contrada Tafaria, forse ai più sconosciuta, non certo ai piedi del fanatico corridore tra siepi selvatiche col salto in buca, per contro nota al cibonauta dal palato insaziabile, afflitto da brutta epicondilite generata dal buon vinello.
E lo faccia con umiltà e decoro, sintomatico dell’animo agreste e genuino, come il latte, così candido e puro, munto nell’olezzo delle stalle bagnate dalla brezza del mattino, mentre, a scandire il tempo, ci pensa un gallo di campagna che in città, o ‘nta Marina, forse risuonerebbe digitalizzato.
Questo popolo, i Tafarioti, non vivono in Rione, nè in Quartiere. Saprebbe di Città. Loro vivono in Contrada. Letteralmente, contrata: “paese o via che sta di fronte”, alla Città per l’appunto. Sei di Locri? No di Tafaria.
Dunque, dicevamo, l’11 Novembre, forse, il primo vagito. La prima esalazione di comunità. Tutti d’accordo e nel cestino vecchi rancori di vicinato.
Si sceglie di giocare facile. Con il Cibo. Sarà lo specchietto per allodole cittadine. Intramezzo con Spettacolo di Fuochi. Mai occhio umano vide tanto riverbero di luci su prati e case. Musica Popolare, Country e della Beat Generation by Kris DJ, a seguire Cabaret. La goliardia accomuna sempre incolti ed “allitterati”. E per finire il Ballo del Cavalluccio. Mossa di una tale coerenza antropologica che al finire di botti, spruzzi e girelle incandescenti, solo un Santo o una Madonna risultavano assenti.
Contrada Tafaria aveva avuto il suo riscatto. Una matrioska di Campagna, sorella di quella di Città. E non per questo “forise”, equivalente di tamarra.
Una festa il cui Patron, Zio Peppe, delega la sua figliuola, Catia Arrigo, ad enunciare i primi commi di uno Statuto per la costituenda S.C.d.C.T. (Società Civile di Contrada Tafaria).”Perchè nessuno conosce Tafaria? Siamo, forse, figli di un Dio minore? Allora, facciamoci sentire. Fratelli delle Contrade limitrofe, unitevi e brindiamo al Dio Bacco. Solo Egli riuscirà a lenire le ferite umane, l’abbandono e l’incuria dei “Marinoti”, gli accanimenti discriminatori e l’uso corrotto delle nostre volontà“.
In verità, non fu così detto. Modi gentili ed occhi fiduciosi gridarono al miracolo.
Contrada Tafaria era viva. E piacquero pure due varchi imposti al passaggio umano e, negato, ai motori. Quelle transenne non filtravano l’ingresso agli uomini di Città. Delimitavano una Contrada. Circoscrivevano i limiti della dignità mai più invalicabili. Perchè Tafaria aveva urlato, semplicemente parlando il dialetto di Nonna Cata, e rispedendo al Mare gli infiltrati. Andate! e con il Vostro bell’Italiano forbito, raccontate che c’è un posto dove con parole affabili si dialoga, con generosità si accoglie, con semplicità si è uniti.
Prosit.
Loredana Alvaro
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