Racconto di Francesco Tuccio (ph. Domenico Mirigliano)
Scorrono le immagini di sessant’anni di televisione. E scorrono povere storie di paese, indimenticabili per chi le ha conosciute. Il quadro luminoso dal mondo entrava nelle case più facoltose, e il vicinato si riuniva attorno, lasciava il braciere e il racconto arcaico della civiltà contadina. Sparì “Na’ fiata” (una volta), l’attacco ed il proseguo delle storie incanutite dei nonni e delle vecchie zie dalla doppia morale diretta ai genitori ed ai figli. La gente guardava meravigliata e non si parlava: il presagio della realtà che stiamo vivendo oggi.
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Sull’arco del “gafio” (sottopasso), una finestra con i vetri appannati: a ricamare e sferruzzare la maglia d’inverno. In cima alla scala il “mignano” (pianerottolo) con il cancelletto di legno e l’uscio di casa spalancato: a chiacchierare e prendere il fresco nelle serate d’estate.
Qui Lauretta si affacciava come una regnante altera e gremiva i pensieri cupidi della gioventù del tempo. Qui si rivolgevano, imploranti e speranzosi, gli sguardi e le ansie, i passi quotidiani sui selci sconnessi del mercato paesano, le serenate ai chiari di luna. Ragazza mora con il colore della pelle impressa dal sole prima ancora d’esser nata, aveva il sorriso della candida zagara che risaliva da fondovalle e riempiva di fragranze l’aria delle primavere, il profumo intenso del gelsomino bianco delle notti e delle albe estive della marina salmastra; impallidiva le rose, i garofani e i gerani cadenti dai davanzali. Il suo volto appariva etereo nell’ultimo pensiero del giorno, nell’abbandono esangue al dolce abbraccio di Morfeo. Non era di nessuno. Era, solamente, il sogno di tutti. Riempiva le chiese e le processioni, come il fiore più sapido degli splendori della natura attraeva sciami ammirati e desiderosi.
Diede, perfino, un contributo alla cultura e al lavoro degli insegnanti. Le balenò un desiderio strano di conoscenza per divenire donna moderna. Nata durante la guerra era già brava massaia nelle faccende domestiche, virtuosa nell’arte dell’uncinetto e della maglia, nella tessitura al telaio, e voleva saper leggere e scrivere, essere padrona della chiave della comprensione di quel nuovo mondo sfavillante e imprevedibile al passaggio epocale. In paese si aprirono i corsi di “Telescuola” e poi di “Non è mai troppo tardi”. Lauretta si iscrisse per prima, e dietro a lei un folto gruppo di giovanotti pronti a riempirsi gli occhi ed a sgrassare i panni dell’atavica ignoranza. Nessuno voleva fare brutta figura in quella classe di uomini con una sola donna. Non davanti a lei, al suo giudizio e alla sua intelligenza. Forse, anche per questo fu troppo lacerante lo strappo alla mentalità e al costume, l’evasione scandalosa dalla prigione del pregiudizio.
Allora, Lauretta comprese. Tutti la volevano e nessuno la domandava, e in nessuno di quei giovanotti rudi immaginava il suo uomo. Viveva con la madre e una sorella più piccola, ma il padre non si conosceva.
Passarono uguali e innumerevoli i giorni, i mesi, e, ad un tratto, comparve un giovane alto, biondo e bianco come la neve, parlava un’altra lingua. Lo videro passeggiare per la strada principale a braccetto con Lauretta, e dissero subito: “arrivau u cazzuni mericanu”. Lui salutava tutti con un sorriso slargato e ignaro e la parlata che nessuno capiva, non si curava dei ghigni, degli sguardi torvi e pieni d’invidia. Stava con lei e questo gli bastava per vivere un presente felice senza chiedere nulla. Lei splendeva, raggiante di una nuova luce, quella della rivincita sulle offese sottili patite e che l’avrebbe portata lontano; avrebbe attraversato “il mare oceano” per arrivare alla “merica grande” da cui veniva lo schermo che, forse, le aveva messo le ali della liberazione.
Passarono gli anni pesanti come secoli. La signora Laura tornò in paese, ricca e piena dell’aspetto maturo della bellezza trascorsa, con la crepa lieve di un dolore sopito. Non fu riconosciuta, né voleva che qualcuno la riconoscesse. Un fugace passaggio per ritrovare le tracce di sé e della sua giovinezza prima di lasciare il paese … e la vita per sempre. E quando giunse al vecchio mercato udì risuonare la sua filastrocca:
“e venne quel dì di lune
andò al mercato a comprar le prune
lune le prune
e Lauretta bella sul mercà
e Lauretta bella sul mercà
e venne quel dì di marte
andò al mercato a comprar le scarpe
lune le prune
marte le scarpe
e Lauretta bella sul mercà
e Lauretta bella sul mercà
…………………………………….”
Il suo microcosmo di pietra non l’aveva dimenticata.