R. & P.
Appena
ieri mi sono trovato nella cittadina ionica di Africo, ci sono stato
per l’ultimo saluto ad Antonio Favasuli, medico odontoiatra in quel di
Modena, cresciuto in Calabria dove ancora oggi continua a vivere la sua famiglia. Con Antonio avevamo in comune “Zio
Enzo” ma anche altri affetti come il suo caro fratello Giovanni, poeta
dialettale di prima risma che più di tutti è riuscito rappresentare in
modo plastico la condizione difficile dei nostri luoghi.
…Una
giornata triste quella di ieri, già segnata da un altro tragico lutto,
avvenuto a qualche decina di chilometri da lì, sulla Statale 106, ma di
questo la politica nazionale non se ne occupa.In
piazza ad Africo, seppur in una triste occasione, ho ricevuto l’affetto e
la cordialità di molti cittadini del luogo con i quali nel corso della
mia vita lavorativa, politica e familiare ho avuto l’opportunità di
incrociare i passi. Con alcuni di loro inevitabilmente abbiamo
commentato la condizione “sub judice” dell’amministrazione comunale,
convinti di un epilogo già scritto e ahimé non ci siamo sbagliati!Con altri ci siamo limitati a chiedere notizie di circostanza sullo stato di salute e di benessere dei nostri congiunti.In
un primo momento mi sono chiesto: chissà se fra le persone incontrate
in quella piazza e salutate da vicino qualcuno di loro avesse avuto
precedenti penali o di polizia? …Continuando a riflettere però mi sono
interrogato se non fosse superfluo porsi questo tipo di domande,
considerate le motivazioni che tipicamente vengono addotte per lo
scioglimento di un comune. Mi viene da ricordare ad esempio la vicenda
di Cassano allo Jonio in cui, secondo lo Stato, il sindaco non avrebbe
dovuto partecipare al funerale di un’anziana signora che da giovane lo
aveva amorevolmente tenuto fra le braccia, sol perché la stessa avrebbe
celato in se la “controindicazione” di avere un figlio con precedenti
penali.
Oggi leggendo il comunicato stampa del Ministero dell’Interno in cui viene
ripoortato lo scioglimento del consiglio comunale di Africo, ancora una
volta, prendo atto che (nonostante le nostre strade statali e
provinciali somigliano sempre più alle vecchie mulattiere, le
infrastrutture dei servizi cadono a pezzi, gli ospedali vengono
ridimensionati o addirittura chiusi) lo Stato centrale, anziché
impegnarsi a garantire i servizi, almeno quelli di prima necessità,
continua falcidiare la democrazia anche quando la stessa è giovane e di
belle speranze come in quest’ultimo caso.
Lo
scioglimento dell’amministrazione africese infatti risulta sin troppo
scontato e prevedibile nonostante la comunità sia stata più volte messa
in ginocchio dalla storia, basti pensare alle alluvioni del 1951 e del
1971 e solo per questo meriterebbe tutt’altro trattamento.
Continuare
a confinare la Calabria solo nell’angolo virtuale della ‘Ndrangheta
significa condurre, da parte dello Stato, una politica razzista e di
comodo, ben lungi dall’occuparsi degli squilibri economici e sociali fra
nord e sud come imporrebbe la nostra Costituzione. La disparità di
trattamento raggiunge dei casi limite (forse neanche tanto limite) come
per i trasferimenti dello Stato agli asili nido che fra Reggio Emilia e
Reggio Calabria hanno un rapporto di 200:1 o come i recenti aiuti del
Governo per danni da maltempo che assegnano alla Calabria solo lo 0,6
per cento della risorse pur essendo una delle regioni maggiormente
colpite.
In questa
cornice generale, agli amministratori di Africo non mi resta che
manifestare la mia vicinanza e rivolgere loro l’invito a non farsi
cogliere dalla rassegnazione, seguendo gli esempi di Lamezia Terme,
Cassano allo Jonio e Sant’Ilario dello Jonio in cui gli amministratori
ingiustamente “Sciolti” hanno reagito, anche presso le sedi giudiziarie,
superando lo scoglio delle incandidabilità e riaffermando con
determinazione la democrazia.