*di Cosimo Sframeli
Quando si abbattano possibili catastrofi, siamo più buoni, solidali con gli altri, ci sentiamo parte dell’umanità in pericolo e fiduciosi ci affidiamo alla Madonna e ai Santi.
La nostra gente, che incontra quotidianamente medici e personale infermieristico, percepisce di essere accolta e servita con competenza e professionalità.
E quando accade qualcosa di grave, le notizie assumono risonanza esplosiva, come giusto che sia.
Cresciuta l’offerta, così come la qualità, si è interrotta la sudditanza negli ospedali, come negli uffici, nell’esercizio delle professioni, nei servizi e finanche nei contratti privati.
E’ così che ogni giorno vorremmo praticare iniezioni di fiducia perché le aspettative sono molteplici e la stima che nutriamo verso la Sanità potrà essere vitale; ed è questo il motivo per cui le delusioni appaiono più cogenti, non mancando di evidenziarle.
Desideriamo che l’intero sistema sia, senza distrazioni, votato all’unica causa che è la salute dei cittadini, bene sommo.
In questo momento storico, la Sanità, che preme e giustamente vanta il sacrificio individuale, coglie nel segno e il merito va’ a coloro che lo hanno guadagnato sul campo.
Lo speriamo vivamente, così per oggi e per ogni giorno, in questo periodo così inteso per la nazione, inteso come una grande prova orientata al benessere fisico, tutelato dalla buona sanità.
Negli ospedali conosciamo sanitari che, con simpatia e gentilezza, ci tranquillizzano, sforzandosi di compiere l’impossibile nel rimetterci in sesto, nonostante prevalga un surrogato di modello aziendale imposto dalle Aziende che non educa al lavoro né alla professionalità. Dice Corrado Alvaro: “Calabria, paese infelice, che custodisce, geloso, la sua infelicità”.
In parallelo, sembra che la cultura dalle nostre parti sia diventata un business, si sia trasformata in un carrozzone da muovere a suon di euro.
Investire in cultura e legalità è primario anche in una realtà così sottosviluppata dove, in tanti, non posseggono neanche l’essenziale.
E’ come vestirsi la mattina, indossando prima le scarpe e poi le calze.
La Calabria è terra di nessuno.
Il tempo da noi sembra essersi fermato all’epoca di Garibaldi, quando l’eroe dei due mondi effettuava i suoi spostamenti a dosso di un mulo, per poi, in epoca successiva e contemporanea, continuare a muoverci a mezzo di treni “littorina” a gasolio.
Così come siamo messi, rischiamo di rimanere per sempre come siamo.
Non abbiamo identità di cittadinanza e, paradossalmente, ciò che attecchisce dalle nostre parti è il fiorire della povertà.
Eppure i soldi si spendono a iosa, senza che niente cresca o qualcosa cambi.
Ragion per cui, prima di riempirci la bocca della parola cultura e legalità constatiamo la professionalità di chi dovrebbe occuparsene, tenendo in debito conto che non è bravo chi mette insieme quattro titoli, ma chi realmente riesce a comprendere le peculiarità di un territorio, adoperandosi con scelte educative precise.
La “cultura alla legalità” che educhi alla vita, che resista sulle orme degli umanisti.
Una resistenza doverosa e difficile al tempo stesso, comunque possibile; minoritaria, certo, ma capace di custodire vie aderenti alla realtà, in un intreccio di forze e verità per la vita, correggendo dove necessario tante incapacità della famiglia.
Altrimenti, si corre il rischio di addormentarsi da passero, salvo poi, per chissà quale alchimia, risvegliarsi da colomba.
Ritorniamo alla Sanità dove c’è un nuovo vento che agita le acque.
E’ il vento della riscossa capeggiata da medici e paramedici, riconosciuti emblema del dovere e del sacrificio verso gli altri: espressione del concetto più alto di libertà.
Sono loro ad essere servitori obbedienti, principi liberi, patrimonio di tutti i bisognosi.
Sono queste le figure che hanno una propria dignità e un proprio distinto modo di essere e di affrontare la vita, accomunate dall’essere anime salve ossia spiriti solitari, liberi e puri.
Il malato è obbediente quanto basta, a volte è figlio di “pirati” e svezzato da esistenze in cui è stato messo in discussione dalla vita, che lo ha attraversato non senza rumore.
Il Presidente della Repubblica, custode dell’Onore Nazionale, ragionevolmente invita alla riflessione.
Sappiamo che la vecchiaia da noi sia malvagia, ambiziosa, e il potere un surrogato della sensualità.
Ci dicono di essere in guerra: il soldato che riflette un attimo in più prima di colpire il suo nemico, è colpito a sua volta, a morte.