di Francesco Tuccio
La notizia è vecchia di circa due anni, e, a ben vedere, non è di quelle che fanno notizia. Cosa volete che sia l’aver scoperto per caso dei cocci e parte delle fondamenta di un corpo di fabbrica risalenti al V° secolo a.C., nel pieno fulgore della Magna Grecia? E la cosa che va maggiormente taciuta, e per me, invece, più emozionante, è il luogo dove si sono rinvenute le “sacre reliquie”: siamo in collina, a 9 km dal mare, alle falde della rupe sulla cui cresta si è insediata la storica e inespugnabile Castelvetere medievale (odierna Caulonia), dietro l’attuale Casa comunale. I ruderi e i frammenti potrebbero essere più estesi in direzione della strada adiacente, sotto le case che su di essa si affacciano, e, certamente, sono stati parzialmente distrutti e perduti nel momento in cui si è costruito il municipio, per attestare tutta la nostra grassa insipienza che ha radici lontane. Sorge spontanea una domanda: siamo di fronte a che cosa, a una struttura isolata o a un complesso edilizio? La risposta è importante e non mi pare vi sia stato l’impegno di chi è preposto per tentare di chiarirla.
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Sul nostro territorio, numerosi sono gli indizi, le testimonianze frammentate di quella straordinaria civiltà antica, ma tutti i rinvenimenti casuali sono avvenuti sulla costa tra Focà e Caulonia Marina, e nelle borgate di montagna Strano-Cufò dove i greci estraevano i minerali. Ora, non escludendo che altre piacevoli sorprese possano venire alla luce, sappiamo con certezza che i terreni circostanti la rupe erano conosciuti e utilizzati, quantomeno, a fini agricoli e pastorali, e ciò potrebbe essere non indifferente rispetto all’accertamento delle origini di Caulonia, avvolte ancora nella coltre del mistero, sprofondate nel buco nero e muto di un migliaio di anni.
Agli esordi della storia di questo centro vi sono soltanto due notizie certe: un testamento del nobile Ariberto Asciutti datato “in Castelvetere lì 22 febbraio 1087” (avvento del Regno Normanno nell’Italia meridionale) e lo stesso toponimo di derivazione latina “Castrum Vetus” (vecchio castello) che spinge le origini in epoca bizantina (885 nascita del “Tema” di Calabria) o tarda romana (476 caduta dell’Impero Romano di occidente). Sullo sfondo si delineano alcune fonti storiche antiche che fecero presumere l’ubicazione della colonia magno greca Kaulon sulla sponda della Sagra (Allaro), dove sono stati ritrovati i ruderi di un castello, delle tombe e frammenti di materiali da costruzione in località Mattunusa (Focà). E proprio in virtù di queste convinzioni nel 1863 si cambiò il nome da Castelvetere in Caulonia. Poi, agli inizi del ‘900, com’è noto, l’inclito archeologo Paolo Orsi scoprì il vero sito presso Monasterace.
Tuttavia, ancora oggi, tra noi, vi sono persone, di profonda cultura classica, che ancorate alla vecchia impostazione sostengono ciò che non è più sostenibile dall’inizio del secolo scorso. Ma vi può essere un’altra spiegazione che sta alle origini dell’attuale Caulonia?
Sappiamo che Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore, nella seconda guerra punica distrusse Kaulon (200 a. C.) per punirla per la sua alleanza con Annibale. Da quel momento la piccola ed ammirabile polis non è stata più ricostruita. Ma gli uomini, le donne, i vecchi, i bambini superstiti dove sono andati a finire? Gli studiosi dicono che si dispersero sul territorio ionico, svaniti, praticamente, nel nulla. Non si tiene conto che quel popolo aveva già dato prova di un forte spirito di conservazione identitaria in una precedente, analoga distruzione (389 a. C.) ad opera di Donisio I, tiranno di Siracusa. Il territorio conquistato fu regalato agli alleati locresi e i cauloniati furono deportati in Sicilia nell’attuale comune di Pietraperzia (prov. di Enna). Là chiesero e ottennero il permesso di costruire la loro città a cui diedero lo stesso nome di Caulonia, toponimo sopravvissuto fino a oggi per indicare la località archeologica di quel comune. Dopo poco più di 20 anni (367 a. C.), Dionisio II, succeduto al padre, ordinò la ricostruzione di Kaulon ed i suoi abitanti originari poterono tornare tra i ruderi della loro patria per riedificarla. I campani al soldo dei romani la distrussero per la seconda volta (273 a. C.) e di nuovo risorse.
Mi viene difficile pensare che un popolo con questi precedenti storici, nella fase di passaggio dal mondo greco a quello romano, non abbia più voluto difendere e conservare le proprie tradizioni culturali e religiose, e si sia disperso, confuso con chi? Colui che dedicò molti anni della sua vita per ricostruire la storia e le origini di Caulonia sosteneva che “gli altri autori consultati credono Caulonia assolutamente diversa da Castelvetere, ovvero ammettono che la popolazione di Castelvetere soltanto abbia potuto essere quella di Caulonia, la quale, uscita dall’eccidio, per quell’istinto che guida gli uomini a fondare città commode e sicure, soprattutto allora che la guerra si combatteva con armi corte, preferivano i luoghi elevati, per cui è probabile che i vinti di Fabio Massimo abbiano scelto il luogo elevato dove poi fu Castelvetere.” (1) E non c’è dubbio che la conformazione naturale della nostra rupe e la sua superficie scoscesa offrivano spazio per un insediamento urbano e l’elevazione per la difesa e la sorveglianza a 360 gradi, dalla marina alla montagna. Una posizione unica ed uguale soltanto alla rocca di Gerace.
Ecco perché ogni rinvenimento sulla rupe o alle falde è preziosissimo per scrivere quel pezzo di storia che manca. E, intanto, gli amministratori farebbero bene a far rimuovere la vergogna delle erbacce e dell’immondizia accumulate sui ruderi che vanno preservati e mantenuti visibili.
(1) Ricerche storiche su Caulonia, Davide Prota, Edizioni Brenner ristampa 1981