DALL’ASSOCIAZIONE CULTURALE GENTE IN ASPROMONTE RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
GALLICIANO’ – Un’icona raffigurante Santa Maria della Grecia è stata donata alla comunità di Gallicianò dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, in occasione della sua visita in Calabria. Santa Maria guarda verso la madrepatria, con la speranza che essa risorga, al pari della civiltà della Calabria, che sta languendo.
Raduno ore; 10.00 – Gallicianò
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Come arrivare : attraverso la statale 106 jonica si raggiunge Condofuri Marina; si imbocca il bivio per Condofuri e, attraverso le frazioni San Carlo, Rodi, il Torrente Schiavo e Carcara si giunge, dopo 10 Km., a Mangani; si devia quindi per Gallicianò, che viene raggiunto dopo altri 7 Km..
Con un’escursione di grande fascino si raggiunge il paesino ricco di storia affacciato su un balcone di roccia che domina la fiumara Amendolea ; lungo le stradine si resta affascinati per gli odori e per i panorami mozzafiato che si godono guardando la vallata e la montagna. La sua posizione geografica ci sollecita a ricercare ansiosamente oltre il mare la madrepatria perduta: la Grecia.
Tempo: Ore 6.00
Località. Gallicianò
Dislivello: 650 slm 1126
Comuni interessati: Condofiri
Difficoltà: E. E. Escursionisti esperti
Parcheggiate le auto lungo il tratto di strada rettilinea che precede immediatamente l’abitato di Gallicianò, frazione di Condofuri e cuore pulsante dell’area grecanica, si raggiunge quella che è stata una delle isole di un folto arcipelago di lingua grecanica, sviluppatosi lungo la fascia jonica della provincia di Reggio Calabria, a testimonianza della ininterrotta continuità storico linguistica che lega le prime colonie greche agli ellenofoni dell’Aspromonte di oggi; Gallicianò, infatti, rappresenta oggi l’ultimo baluardo posto a difesa di una cultura di arti e tradizioni di ellenica memoria, tanto da meritare l’appellativo di “Acropoli della Magna Grecia”.
Cenni storici Gallicianò e lingua grecanica.
Gallicianò è situato a 621m. s.l.m., su di uno sperone roccioso del versante destro della fiumara Amendolea, protetto a Nord dal monte Scafi (1139 m.).
Le sue origini risalgono all’VIII sec., quando, alcuni gruppi di Greci, dopo aver consultato l’oracolo di Delfi, partirono dalla madrepatria alla ricerca di più prosperi territori e, una volta giunti nei pressi dell’odierna Condofuri, attratti ed affascinati dall’ampia e quieta insenatura del mare che rientrava sin nel letto della fiumara Amendolea, rendendola in parte navigabile, proseguirono verso i monti, portando così i loro usi e costumi, la loro lingua e la loro cultura. Riguardo le origini del nome, il toponimo tardo-bizantino Galikianon deriva da un prediale di età romana, cioè Gallicianum, che si spiega dal gentilizio latino Gallicius. Si ritiene che Gallicianò sia stato fondato dagli abitanti di Amendolea, costretti a spostarsi più a monte per sfuggire alle incursioni turchesche. In tale area geografica la feconda civiltà magno-greca si perpetuò in maniera fiorente e pacifica fino all’avvento dell’età romana, quando, la latinità inflisse durissimi colpi alla grecità, che cominciò così a perdere il proprio alfabeto. Nell’età bizantina, dal VI sec. d.C. all’anno 1000, il già fertile terreno magno greco qui esistente, fu reso ancora più fruttifero, in virtù della comune radice culturale tra i bizantini e gli eredi ellenofoni della Magna Grecia. Dopo la sconfitta bizantina ad opera dei Normanni (1059 Roberto il Giuscardo conquista Reggio), iniziò una massiccia latinizzazione del culto e della lingua ed un’irreversibile crisi del mondo ellenofono, che fu costretto in confini ancora più angusti. Nei secoli successivi, l’avvicendarsi di dominatori di sicura fede romana (Angioini, Aragonesi, Spagnoli) resero vorticosa la latinizzazione e, la cultura greca, da dominante divenne sempre più subalterna, sempre più legata ai ritmi ed alle funzionalità di un mondo interamente orale come quello pastorale e contadino. Ma, nonostante le tante insidie, il greco, che era anche veicolo di cultura, scienze e filosofia, sopravvisse, aiutato dal clero e dal rito religioso greco, in questo lembo impervio dell’Aspromonte Orientale, reso per secoli, in virtù del suo isolamento, un microcosmo di fatto autosufficiente. Ancora oggi sono da considerare miracolose la resistenza caparbia degli abitanti di Gallicianò, per le difficili condizioni logistiche ed economiche ed il loro conservare e tener vive le tradizioni greco-calabre, non solo in ambito linguistico, ma anche musicale, gastronomico, rituale e religioso. Infatti Gallicianò resta oggi l’unico faro acceso su quella che fu la Magna Grecia, dove l’antica lingua di Omero, Aristotele e Platone è ancora viva, e dove le vie recano i nomi di Zeus, Penelope, Fidia, Ulisse, etc..
Si procede attraverso le stradine del borgo in direzione del Museo Etnografico, fino a giungere alla Sorgente dell’Amore (Cannalo tis Agapi).
Sorgente dell’Amore.
Antichissima fonte del paese, dove le donne si recavano per attingere l’acqua con le tradizionali brocche di terracotta o per lavare i panni nel ruscello accanto ad essa. La sorgente era per eccellenza il luogo d’incontro delle donne del borgo e, per i giovani, il luogo dove incontrare, più facilmente che altrove, le donne verso le quali si aveva un interesse; con la scusa di bere dalla fonte, si accingevano a manifestare il proprio amore (agapi), attraverso uno sguardo fugace, un’impercettibile sorriso, un saluto accennato o ancora con un biglietto d’amore nascosto tra le pietre. Quando poi la fontana era finalmente deserta, avveniva la solenne dichiarazione d’amore, che preludeva al matrimonio, destinato a durare per tutta la vita. Ancora oggi è consuetudine che tutti gli sposi, alla fine del rito del matrimonio, uscendo dalla chiesa di S. Giovanni Battista o di Santa Maria di Grecia, dopo aver ricevuto la benedizione dai propri genitori, si rechino alla fonte per una nuova promessa di reciproco amore, destinato a durare per tutta la vita ed a manifestarsi in ogni istante di ogni ora del giorno.
Dalla Sorgente dell’Amore si procede a destra (Dromo Patruna ti Grecia) fino ad intercettare la sterrata che conduce al vecchio monastero di Santa Maria della Grecia. Si procede in discesa e si fiancheggia un ricovero di animali, fino a giungere in contrada Caloso (calos in greco significa buono); si continua in salita lungo un esile sentiero “inciso” nella roccia. Si fiancheggia poi a Sud un ricovero di animali, fino a giungere ad un poggio panoramico in località “Cotronea”, in corrispondenza dell’area “aloni” dove un tempo avveniva la trebbiatura dei cereali servendosi delle mucche (h. 607m.).
Già in questo primo tratto del percorso l’escursionista può “leggere” chiaramente nel paesaggio aspro, ricco di coste franose, la difficoltà storica degli spostamenti nell’area grecanica, che garantì il suo isolamento e la permanenza di un’economia chiusa, povera, di sussistenza, non monetaria, ma basata sul baratto di prodotti della terra e della pastorizia.
Si prosegue lungo il viottolo a sinistra, che si snoda zig-zagando in discesa (N.B. procedere con attenzione per la presenza di rocce affioranti scivolose e per il terreno sdrucciolevole) fino a giungere alla vallata “Vasaro”(h. 605m.); si attraversa quindi un ruscello e si procede in salita verso Nord-Est tra perastri, ginestre ed euforbie arborescenti. Si devia poi a destra ed il sentiero si inerpica in zig-zag nella contrada “Cameni” (terra bruciata), fino a giungere in contrada “fiddhaturi” e, nel punto più alto (797m.) vi è un poggio panoramico nel quale si rimane quasi inebriati dai profumi ed incantati dalla stupenda vista sulla fiumara Amendolea con sullo sfondo il Passo della Zita ed i Campi di Bova. Agli occhi dell’escursionista si dischiudono paesaggi tra essi dissimili, a volte contrastanti, inconsueti ed affascinanti; è tutto un alternarsi di picchi, di crinali selvaggi e valli, con rupi scoscese fittamente punteggiate dalle pale dei fichi d’India, con casolari abbandonati, muti testimoni delle peripezie di vita e delle quotidiane fatiche per la sopravvivenza sofferte dai grecanici. Tutt’attorno, si articola, affannosa, la difficile vita rurale dei pastori di Gallicianò, gente umile ed ospitale, pronta al sorriso ed al colloquio bonario.
Si devia poi a destra, procedendo in leggera discesa verso Nord-Est ed il panorama diventa sempre più ampio, il letto sinuoso della fiumara Amendolea assume le sembianze di una striscia d’argento, si godono vedute su Roghudi, Chorio, Roccaforte, M. Grosso, M.. Cavallo e Montalto.
Lungo tutto questo primo tratto di cammino l’escursionista è piacevolmente accompagnato dallo scrosciante suono dell’acqua dell’Amendolea che, con il suo ampio e sinuoso letto ghiaioso, costituisce la spina dorsale dell’area grecanica ed, in epoca storica, ha rappresentato il confine fra Locri e Reggio. La fiumara Amendolea, con il suo ampio alveo pietroso, ingombro di materiali litici, dà all’escursionista una chiara idea delle profonde modificazioni che l’area grecanica ha subito nel corso dei millenni e del dissesto idrogeologico indotto dall’uomo; le pendici montane ora gravemente erose per la facile presa delle acque meteoriche, in assenza di copertura forestale, un tempo, prima che l’uomo incidesse pesantemente sul territorio con i disboscamenti, erano rivestite quasi ininterrottamente dalla vegetazione che, frammentando il flusso delle acque superficiali, concorreva a rendere più costante il regime idrico della fiumara stessa.
Dopo un breve tratto in leggera salita lungo una carrareccia, si giunge in località “Grecia” dove, in prossimità di una masseria (possibile rifornimento di acqua), tra i pini si ergono maestosi i tronchi incavati ed anneriti dagli incendi di millenari castagni ancora miracolosamente in vita, come testimoniano alcuni rami fruttiferi; tali castagni, insieme ad alcuni secolari gelsi da foglia la cui coltivazione era “mirata” alla produzione della seta, sono segni inequivocabili della presenza del monastero bizantino S. Maria di Grecia, del quale permangono solo tracce dei muri perimetrali, in quanto gli stessi sono stati abbattuti dalle frane e per il passaggio di una carrareccia. Il sentiero procede poi in salita, fino ad intercettare la carrareccia che immette in una pineta e serpeggia in leggera salita in località “Acatti” (luogo pieno di spine); si fiancheggia un vivaio forestale e si continua a salire fino ad immettersi, in corrispondenza del casello forestale, sulla carrabile in cemento che continua in salita tra i pini (h.1041m.); si devia quindi a destra procedendo lungo la sterrata che si snoda sempre in salita tra i pini, fino a giungere ad una recinzione che dà sulla strada asfaltata; attraversato l’asfalto, si devia a sinistra, immettendosi in un viottolo che procede in piano attraverso la pineta in contrada “fasuglia”, fino ad intercettare la pista carrabile che, procedendo tra pini e castagni, prima in discesa e poi in salita, conduce al Casello di Scafi. Dal Casello, si procede in discesa attraverso la pineta, fino a giungere sulla strada asfaltata in corrispondenza di Monte Sofia ai cui piedi, sul lato Sud rivolto verso Gallicianò, si narra che i briganti avessero nascosto un tesoro. Si continua poi in discesa lungo la strada asfaltata attraverso le contrade “Plachi” e “Porticeddha”, fino a giungere all’acquedotto; si devia poi a sinistra, immettendosi nella sterrata che zig-zagando in discesa, attraverso contrada “Ladro”, conduce a Gallicianò.
Giro turistico nel borgo di Galliciano’ .
Chiesa di San Giovanni Battista.
Chiesa cattolica cristiana del paese, custodisce una statua in marmo di S. Giovanni, opera settecentesca della scuola dei Gagini.
Chiesa ortodossa di Madonna di Grecia ( Panaghia tis Elladas )
Edificata riadattando con garbo una casa in pietra, ispirandosi all’architettura bizantina sia nelle forme architettoniche che negli aspetti decorativi; custodisce un’icona raffigurante Santa Maria della Grecia, donata alla comunità di Gallicianò dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della sua visita in Calabria. E’ aperta al culto e rappresenta, insieme al San Giovanni Therestis di Bivongi, la viva testimonianza di un ritorno da “pellegrini” degli ortodossi nei siti di antichissimo culto greco.
Museo Etnografico Angela Bogasari Merianoù
Struttura nata con lo scopo di far conoscere al visitatore la storia e le tradizioni del luogo attraverso gli utensili utilizzati nella vita quotidiana dai propri antenati.
Il visitatore viene proiettato indietro nel tempo, attraverso la sapiente ricostruzione, mediante gli utensili realizzati con materiali nostrani, dei diversi ambienti di vita quotidiana :
– la vita casalinga, con i componenti d’arredo come le coperte di lana o di ginestra, in fibre naturali colorate e tessute a mano;
– la vita agro-pastorale, con l’aratro, le formelle (musulupare) per il formaggio e la ricotta, i setacci per i cereali ;
– l’arte e la cultura folkloristica, con la zampogna (cerameddi), i tamburelli, i flauti, le lire e gli organetti.
Teatro “Greco” Bartolomeo I
Edificato nella parte alta del paese, vicino alla Chiesa Ortodossa, come riproduzione di un teatro Greco, a sottolineare lo stretto legame che accomuna gli abitanti del borgo con gli antenati ellenici. Il 23 marzo 2001 è stato intitolato al Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I in occasione della sua visita al paese.