di Gianluca Albanese
LOCRI – La sentenza n. 217/17 del 29 novembre 2017 emessa dal Gip presso il Tribunale di Locri Domenico Di Croce e la sentenza n. 282/2020 del Tribunale Civile di Locri (Giudice Andrea Amadei) rendono giustizia al medico ospedaliero Vincenzo Barillaro, difeso dagli avvocati Antonio Cavo (nel rito abbreviato davanti al Gip) e Carmela Fonti (nel processo civile).
La prima sentenza riguarda un procedimento penale che il Barillaro ha affrontato da imputato, essendo accusato dei reati di rifiuto d’atti d’ufficio, usurpazione di funzioni pubbliche e abuso d’ufficio risalenti, secondo l’accusa, al periodo antecedente al 9 giugno 2015, quando il dirigente sindacale della Uil-Fpl Nicola Simone dichiarava a mezzo stampa di aver sporto denuncia contro il dottore Barillaro, asserendo che le autoambulanze del 118 trasportavano i pazienti al Pronto Soccorso senza alcun medico a bordo, individuando come responsabile proprio il medico Barillaro che, secondo quanto dichiarato dal sindacalista Simone agli inquirenti, aveva riferito all’allora direttore del Pronto Soccorso Giuseppe Zampogna di non avere medici disponibili e di non essere tenuto, stante la qualifica rivestita, a sopperire in prima persona a tale carenza.
La sentenza del Gip Di Croce, tuttavia, evidenzia in maniera chiara come “L’interrogatorio reso nel corso del processo dal Barillaro ha consentito di acclarare l’infondatezza dell’ipotesi accusatoria mossa a suo carico. L’imputato – è scritto nella sentenza – ha infatti riferito circostanze che delineano la penale irrilevanza delle condotte rimproverategli, e la cui veridicità è riscontrabile nei numerosi documenti prodotti, sia durante le indagini che in sede di discussione, nel suo interesse”.
Quanto basta, insomma, per decretare l’assoluzione del medico Vincenzo Barillaro con la formula più piena, ovvero “Perché il fatto non sussiste” da tutti e tre i capi d’imputazione.
Fin qui il procedimento penale.
E’ di poche settimane fa, invece, la pubblicazione della sentenza civile numero 282/2020 del 15 maggio 2020, che pone fine al processo di primo grado con cui l’attore Vincenzo Barillaro ha proposto azione di risarcimento danni a carico del convenuto Nicola Simone, sindacalista della Uil-Fpl che, sovente in concorso con gli omologhi Nuccio Azzarà e Francesco Politanò, a partire dal mese di luglio 2015, diffuse a tutte le testate giornalistiche della propria mailing list (tra cui la scrivente) una serie di comunicati stampa in cui si corroboravano le tesi accusatorie a carico del medico Barillaro dalle quali prese le mosse il procedimento penale, conclusosi, come prima riportato, con l’assoluzione da tutti i capi d’imputazione.
Il tutto condito da espressioni che, secondo il Giudice del Tribunale Civile di Locri, contribuivano a ledere l’immagine del Barillaro, che veniva descritto come “sedicente responsabile” e “incoronatosi Cesare ai confini dell’impero” e che inducono il Tribunale a scrivere nella sentenza che “il carattere di offensività e lesività delle affermazioni e degli accostamenti, che hanno costituito oggetto della presente disamina, è particolarmente pregnante in quanto l’autore ha leso l’onore, la reputazione e la dignità personale e pubblica dell’attore utilizzando il mezzo della stampa e quello delle piattaforme social, dotate di una speciale efficacia, tenuto conto della capacità di raggiungere immediatamente un numero indefinito di persone. Quando la diffamazione è compiuta “col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità”, l’elemento della pluralità e, cioè, della comunicazione con più persone, come richiesto dall’art. 595 C.P., si può ritenere in re ipsa, per il fatto stesso della diffusione del mezzo usato, che si rivolge ad un numero indeterminato di persone” e “che il Barillaro avesse perpetrato le anzidette condotte delittuose costituisce una mera supposizione del Simone che non ha trovato conferma; al più, avrebbe dovuto essere comunicato come ipotesi, come illazione, e non come dato storico accertato”.
“Nel caso di specie, la condotta illecita di diffamazione è, pertanto, integrata in tutti i suoi elementi, oggettivi e soggettivi, ribadendosi che il bene leso è il diritto alla reputazione personale, che costituisce diritto soggettivo perfetto e va inquadrato nel sistema di tutela costituzionale della persona umana, in particolare, negli artt. 2 e 3 Cost., ove si riconoscono come meritevoli di tutela i diritti inviolabili della persona e si fa riferimento alla dignità sociale dell’individuo ed al pieno sviluppo della persona umana”.
“Tenuto conto – è scritto nella sentenza – della obbiettiva gravità dell’illecito in base a siffatti univoci indici fattuali, il Tribunale ritiene che costituisca equo e congruo ristoro del danno patito la somma di Euro 30.000,00” “Deve pertanto accogliersi la domanda attorea ed indicarsi nel predetto ammontare la somma spettante alla parte attrice a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale subìto. Sulla somma così determinata quale ristoro del danno patrimoniale vanno aggiunti – trattandosi di obbligazione extracontrattuale, avente natura di debito di valore – gli interessi c.d. da lucro cessante avendo la rivalutazione funzione pienamente reintegratoria del patrimonio del soggetto leso e gli interessi, invece, funzione correlata alla mancata disponibilità della somma di danaro”.
Dunque, la sentenza civile riconosce la condotta diffamatoria messa in atto dal Simone, restituisce l’onore, la reputazione e il decoro al dottor Vincenzo Barillaro e condanna il convenuto a un risarcimento pari a 30.000,00 euro più il pagamento delle spese processuali.