di Adelina B. Scorda
LOCRI – Si dovrà attendere il 17 giugno, data stabilita dalla corte, per ascoltare le testimonianza dei fratelli Crinò, sempre che non si avvalgano, ipotesi accreditata da alcune indiscrezioni, della facoltà di non rispondere. Certo la voglia di sedersi su quel banco e raccontare la propria versione dei fatti sembrerebbe essere una possibilità che i fratelli Crinò non sfrutteranno, anche se le strategie difensive potrebbero evolversi lasciando spazio a eventuali colpi di scena. Intanto, proseguono le testimonianze prettamente tecniche che gli avvocati della difesa stanno esibendo al fine di rafforzare la tesi d’innocenza da sempre proclamata dagli imputati.
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È stata la volta, oggi, di Nicola Rotundo, che con estrema precisione chiarisce le dinamiche di illegittimità che le indagini avevano riscontrato per la ditta Zetaemme, priva secondo gli inquirenti delle autorizzazioni necessarie per espletare l’appalto vinto nel 2007 in seno alla discarica di Casignana. “La Zetaemme – ha spiegato Rotundo – era iscritta all’albo rifiuti per la categoria 6D valida e vigente per tutta la durata dell’appalto ( quindi da marzo 2007 fino ad aprile 2011). Nel 2009 una circolare del comitato nazionale abrogativa dichiarava inefficaci le iscrizioni alla 6D (quella autorizzazione che l’appaltatore doveva avere per essere abilitato a gestire legalmente una discarica) senza però specificare quali requisiti fossero necessari per espletare il servizio. Visto che non vi era alcuna alternativa si ritenne in tutto il territorio nazionale che dal gennaio 2009 chi avesse in appalto la gestione di una discarica con regola contratto di appalto dovesse concludere il contratto fino alla naturale scadenza. Io stesso – ha proseguito – chiesi chiarimenti in merito ma non ebbi mai alcuna risposta. Di conseguenza la Zetaemme manteneva l’efficacia della sua categoria in quanto l’appalto per la gestione della discarica di Casignana nel 2009 era già in essere e precisamente dal 2007”.
Interessante anche la disamina sulla gestione del percolato che se da un lato poteva essere prelevato solo per le quantità che l’impianto ricevente di Gioia Tauro autorizzava, dall’altro dovrebbe esserci a monte una distinzione che fino ad oggi neppure l’Arpacal ha mai fatto, quella fra percolato pericoloso e non pericoloso che potrebbero essere gestiti in maniera diversa. Il percolato risulterebbe pericoloso, innanzitutto se puro e solo dopo otto mesi circa di sedimentazione. Differenza fino ad oggi non evidenziata con tale precisione neppure dalle dichiarazioni di Angela Cardile che nell’udienza del 4 marzo specificò, di contro, che anche una sola goccia di percolato deve essere smaltita. Nei vari sopralluoghi eseguiti dall’Arpacal, dal 2008 ad oggi, infatti misero in evidenza alcune criticità del sito, “segnalate subito agli organi preposti – dichiarava la Cardile – ai quali fu richiesta la realizzazione dei lavori necessari per la messa in sicurezza del sito al fine di evitare la fuoriuscita di percolato” .
Precauzioni inutili se il percolato in questione non fosse stato pericoloso per la salute pubblica, dunque, e se quanto sostenuto in aula da Nicola Rotundo, fosse corrispondesse a verità scientifica allora sarebbe da valutare sotto aspetti diversi, non solo le dinamiche processuali anche le cifre spese per lo smaltimento di percolato all’epoca dell’alluvione del 2009, quando per far fronte all’emergenza furono impiegati circa 500 mila euro. Tuttavia, le competenze dello stesso Rotundo andranno verificate, dato che il controesame del Pm Sara Ombra ha messo in evidenza le sue qualità di perito industriale le cui competenze sono maturate grazie a una decennale esperienza pratica.