di Giuseppe Racco*
Caro Mimmo,ti ho visto in pista, la prima volta, tanti anni fa con atleti di livello, c’era anche Panetta. Correvi i tuoi 800 metri ch’era uno spettacolo! Ti invidiavo, io magro e sbilenco, guardando il tuo fisico, ben fatto e muscoloso al punto giusto.Ti ho di nuovo incontrato in questi anni con la tua squadra di atletica leggera, unico a credere ancora che la disciplina della corsa può continuare a migliorare i giovani.
Ho visto crescere insieme a te tanti giovani atleti, ragazzi e ragazze, bambine e bambini. Avevi creato una squadra con atleti di culture diverse, musulmani e cattolici insieme a correre, un piccolo grande esempio di inclusione che non ha bisogno di piazze e grandi discorsi, un esempio di nobili ideali messi in pratica. Qualcuno in questi anni ha abbandonato, altri ti hanno continuato a seguire come il piccolo e ora giovane Christian, tu, però, eri sempre lì, su quel tartan.
Quando arrivavo allo stadio per iniziare il mio allenamento aspettavo da un momento all’altro che entrassi dal cancello verde, dando così più senso alla mia corsa, per non sentirmi solo. Mi rallegravo a salutare i ragazzi che venivano con te perché sapevo che ci aspettava una bella chiacchierata a fine gara. Hai sempre creduto nello sport, come me, tant’è che in questi anni anche tu hai lottato con noi per fare riaprire il campo sportivo, hai creato la tua bella squadra, le maglie, i borsoni.
Ogni tanto qualcuno mi chiedeva quale piacere può provare un uomo ad accompagnare al campo una banda di ragazzetti scalmanati e far loro da allenatore. La risposta era sempre la stessa: “l’amore per lo sport, l’amore per la partecipazione”.
Hai capito bene, proprio la partecipazione, il coinvolgimento delle giovani leve nelle pratiche delle arti motorie, essenza della vita. In questi anni, dove molti abbandonano o relegano lo sport negli ultimi spazi della propria esistenza, inseguendo il mito del virtuale, tu eri sempre lì, su quella pista, coi tuoi ragazzi che ti consideravano un padre, col cronometro, pronto a dare i tempi sui 200, sui 400, sui mille.
I tuoi ragazzi ti hanno onorato vincendo anche delle gare regionali, ma tu pensavi più in grande e dicevi a qualcuno che poteva farcela a livello nazionale. E poi si parlava d’altro durante gli allenamenti, stanchi delle fatiche, di politica, di musica, della nostra generazione. Il tuo eloquio lento sembrava raccontarci di un uomo che sapeva tanto, anche se spesso le nostre idee erano diverse. Rimanevamo a guardare, alla fine della serata, in uno splendido silenzio, il verde del campo, perché correre per noi è vita, è guardare la luna all’imbrunire, è pensare di raggiungerla in una volata finale.
Ecco, quella volata l’hai voluta compiere senza guardare la distanza e in una notte d’estate, senza avvertirci, ti sei presentato su quella pista, che era la tua vita, per l’ultima volta e da lì hai raggiunto il cielo, senza girarti indietro, per essere più veloce del vento.A te, a tua moglie, ai tuoi figli, ai tuoi ragazzi, per proseguire il lavoro che hai iniziato, per continuare a vivere.
*: avvocato e podista amatore