RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO:
Quaranta giorni dopo l’alluvione di ottobre, la Calabria rimane piegata su se stessa, mentre in cima ai pensieri del Governo c’è il salvataggio delle banche: istituzioni finanziarie che sono la causa dell’attuale stato di povertà di milioni e milioni di uomini, reggini e calabresi compresi. Il premier Renzi sa bene che non appena smetterà di essere funzionale al capitalismo finanziario, alle logiche bancarie e borsistiche, o di tentennare nel portare avanti le politiche neoliberiste di privatizzazione giungerà al capolinea. Solo allora gli italiani, ancora più poveri rispetto al passato, forse, capiranno le dinamiche della politica italiana. Presto i suoi hashtag non aggregheranno più perché a quel punto i cittadini, stanchi di promesse virtuali, pretenderanno interventi reali in grado di intervenire dove c’è bisogno di Stato. Una lontananza che la Calabria e la provincia di Reggio, alle prese con povertà e sottosviluppo, hanno toccato con mano anche a seguito dell’alluvione di fine ottobre. Capisco che la Calabria non sia la Toscana, ma vi abitano cittadini che pagano le tasse che poi servono anche a sostenere lo sviluppo di altre regioni del Paese. Questo nostro linguaggio non è certo un’arma di lotta politica quanto, invece, l’amplificazione del grido di dolore di una terra i cui abitanti, fin dall’Unità d’Italia, subiscono la dura condizione del suddito rispetto allo status di cittadino. Il maltempo di due mesi fa ha prodotto danni alle infrastrutture di base, alle civili abitazioni, alle attività economiche e produttive, all’agricoltura che, di recente, è stata vittima anche delle polveri dell’Etna. Le risposte alle nostre richieste d’aiuto ci sono state, è vero, ma verbali: semplici propositi che, in un primo momento, hanno alimentato le nostre speranze ma che poi, via via che sono trascorsi i giorni, sono state spazzate dal vento dello scetticismo, fino ad essere rimpiazzati da un’altra cocente delusione. La politica romanocentrica crede di gabbare il Mezzogiorno con le promesse, le belle parole infarcite di numeri, il cui valore non supera mai quello del prefisso telefonico. E mentre la gente di questa regione aspetta, si assiste al balletto della corrispondenza tra Roma e Catanzaro che dimostra la mancanza di volontà di riunire il Consiglio dei Ministri per dichiarare lo stato di calamità naturale affinché si aiuti chi è stato vittima dell’ultima alluvione. Forse c’è il timore che i reggini o i calabresi trucchino i dati, ma allora si mandi pure l’Esercito per accertare cosa sia realmente accaduto tra fine ottobre e i primi di novembre, anche se – assieme ai VF, alla Protezione e alla Forze dell’Ordine – in quei giorni ha operato sul territorio. Ma si faccia presto. E si eviti di convocare a Roma vertici stucchevoli, proseguendo ciò che si è fatto in passato. Che senso ha invitare i sindaci nella Capitale, che per i loro spostamenti sono costretti ad utilizzare risorse pubbliche sicuramente più utili per qualche intervento urgente sul dissestato territorio, per poi farli rientrare in Calabria a mani vuote?
I cittadini della fascia ionica, che ancora oggi, a quasi due mesi dall’alluvione, vivono i disagi dell’emergenza, giustamente si chiedono perché Roma è sempre più lontana e perché lo Stato reitera la sua assenza rispetto ai bisogni della gente. Ostinatamente ci chiamano e ci sentiamo italiani, mentre siamo fermi alla vigilia dello Stato unitario”.