R. & P.
Tornano gli incontri con l’autore nello spazio culturale “MAG. La ladra di libri” di Siderno che mercoledì 13 aprile alle 17,30 si occuperà del romanzo rivelazione del 2022, apprezzato dal pubblico e della critica di tutta Italia, tanto da meritare recensioni più che lusinghiere sulla stampa nazionale.
Un romanzo generazionale. “Alright, compà” di Rino Garro (Rubbettino Soveria Mannelli, 2021) narra la vicenda di un professore over 30 precario.
In perenne attesa di una stabilità professionale e di un’adeguata identità sociale.
Esaurita la scorta d’immaginazione e idealità nella città dei suoi studi e in cui lavora – “Firenze sogna, sogna Firenze, soprassiede sul presente” – perché un conto è vederla da turista e un conto è viverci, il protagonista, non più così giovane da essere chiamato “ragazzo” ma nemmeno alla soglia della mezza età, si ricorda di essere del Sud, dunque abituato a lunghi e faticosi spostamenti “low cost” e decide di investire oltremanica la sua estate “ponte” tra un contratto a tempo e l’altro, nel ristorante gestito da un suo conterraneo, in cui visse, in passato, un’esperienza da cameriere e lavapiatti.
Una “fuga da sé stesso” apparentemente senza tempo e senza senso: quale sconsiderato rinuncerebbe a un’estate giù in Calabria coccolato dall’affetto dei familiari e degli amici, tra un tuffo al mare, una scarpinata in montagna e l’immancabile insalata di pomodori, cipolle e basilico a cena? Probabilmente pochi.
Almeno fino a un paio di lustri fa, quando la vita di chi studiava lontano da casa e lì si sistemava professionalmente era scandita da tempi e ritmi certi.
E i treni a lunga percorrenza offrivano un relativo comfort per tornare regolarmente a casa.
Poi, qualcosa è successo:il tarlo del precariato ha cominciato a erodere risparmi e certezze di più di una generazione, eliminando ogni garanzia, anche a chi si ritrova cinquantenne e s’iscrive alle liste per le supplenze a scuola.
Fuori regione, ovviamente.
In “Alright compà” c’è tutto questo: inizia con le ansie tipiche di chi non ha alcuna certezza del futuro e si rifugia in un passato da riproporre. Niente valigia di cartone e dialetto inquinato dall’inglese come i nonni:no, si parte con laurea, un inglese fluente e un impiego che oggi c’è e domani chissà.
Nel frattempo si vive il presente giorno per giorno, in bilico tra la nostalgia di casa e la voglia di cambiare aria e vita per sempre.
Inizia così, a bordo di un caratteristico double-decker (l’autobus a due piani britannico) il viaggio del protagonista, raccontato con una tecnica dell’io narrante che lascia molto spazio all’introspezione.
Un’estate in sospensione tra i ricordi del viaggio giovanile coi suoi amori e gli amici nel frattempo cresciuti, e un presente di bevute e parole, tempi e ritmi del quotidiano di un ristorante italiano nella periferia di Manchester.
L’autore non descrive l’ambiente: ci fa entrare il lettore, incoraggiandolo a spostare le tendine per vedere il cielo grigio e nuvoloso di un’estate diversa anni luce da quelle fin lì vissute, gli fa toccare la superficie ruvida di una moquette polverosa e gli bagna i piedi dentro scarpe basse sui marciapiedi deserti delle notti di un’estate che sembra novembre.
Ciononostante la narrazione non è malinconica, anzi.
Sarà il cameratismo tipico della crew del ristorante (composta in larga parte da italiani del Sud), sarà qualche avventura favorita da una pinta in più di birra, ma il protagonista (e di riflesso il lettore) in quella Inghilterra ci stanno proprio bene, al punto da prendere in considerazione l’ipotesi di rimanerci per sempre.
La scelta definitiva viene svelata solo nel finale, ma ciò che appassiona del romanzo è quella scrittura gentile e diretta, come l’ascolto di un blues infinito, senza tempo. E in cui nelle stanze fumose e poco illuminate, si riesce a scorgere un po’ di felicità.
Che forse è l’unica certezza e garanzia che vale la pena cercare e tenersi stretta una volta trovata.
DI SEGUITO LA RECENSIONE DEL LIBRO USCITO SUL SITO DELLA TESTATA GIORNALISTICA REGIONALE DELLA RAI: