di Gianluca Albanese (foto e video di Enzo Lacopo)
LOCRI – «Non ci sono morti di serie A e di serie B: il dolore è unico ed è di tutti. Nelle morti di vittime innocenti di ‘ndrangheta siamo tutti responsabili perché ognuno di noi potrebbe essere toccato. Io non temo tanto la mafia quanto la cultura mafiosa di cui questa terra è permeata, quella cultura mafiosa che ci fa girare dall’altra parte e accettare passivamente tutto». Sembrano parole scritte da una delle tante penne senza padrini e senza padroni che qualche volta vengono percepite come velenose da “Quelli che benpensano”. Invece è la parola di Dio, pronunciata da don Giuseppe Zurzolo durante l’omelia della messa che ha avuto luogo questa mattina nella cappella “Nostra Signora di Lourdes” dell’ospedale civile di Locri, nella quale una preghiera e un pensiero sono stati rivolti alle vittime innocenti di ‘ndrangheta, prime tra tutti Massimiliano Carbone e il piccolo Gianluca Canonico.
Già, Massimiliano Carbone. La sua foto e quella del piccolo Canonico erano poste ai piedi dell’altare e della statua di Maria Santissima. E che quella di oggi non fosse una mera celebrazione nel quindicesimo anniversario della morte di Massimiliano Carbone, ucciso mentre rincasava da una mano vigliacca e criminale, lo si era capito fin dall’introduzione alla santa messa.
Le parole di don Giuseppe, infatti, hanno squarciato tutti i veli di ipocrisia che quella mano invisibile figlia della più volte stigmatizzata cultura mafiosa sembrano voler mettere ogni volta che qualcuno cerca la verità in occasione di ogni crimine rimasto impunito, e in ogni anelito di giustizia e verità rimasto tale.
Parole che illuminano di una luce più forte e più vera il crocifisso appeso sopra l’altare e che hanno reso la messa di stamattina un autentico scossone a tutte le coscienze di chi popola questo pezzo di mondo.
Molte le persone tra i banchi (tra cui i familiari di alcune vittime innocenti di ‘ndrangheta) ma stamani si è notata la totale assenza di divise e fasce tricolori, come se le istituzioni ufficiali non si sentissero toccate dal dolore dei familiari e dalle parole accorate di “un prete di periferia che va avanti, nonostante il Vaticano”.
Don Giuseppe (che a breve verrà trasferito) è un fiume in piena. Non ne può più, come tanti cittadini per bene, di solidarietà di facciata, di parate e di quel “quieto vivere” «Che – ha detto durante l’omelia – allontana da quella verità che io avrei voluto vedere in questa Locride che frequento da un paio di decenni e nella quale mi piacerebbe assistere a una grande mobilitazione per la verità e la giustizia e contro la cultura mafiosa, proprio come in questi giorni si sta manifestando in tutto il mondo per il futuro del pianeta. Una manifestazione che serve a tutti, ma della quale dobbiamo essere noi gente comune a farci promotori, senza “Libera” (l’associazione che fa capo a don Luigi Ciotti, rappresentata durante la messa dai massimi rappresentanti comprensoriali) perchè abbiamo intelligenze, forze ed energie per reagire, scuotere le coscienze e farci valere in tutti i campi, come facciamo realizzandoci in tutti i campi lontano da qui. Qui invece no. Sembriamo tutti vittime di quella cultura mafiosa che impedisce di trovare giustizia e verità per la gente comune. Non l’abbiamo ancora fatto, e allora, se non ci mobilitiamo, se non reagiamo, rischiamo di trasformare celebrazioni come quella odierna in meri appuntamenti».
Non manca nemmeno un monito a chi è abituato a demandare finanche il risveglio delle coscienze ai rappresentanti istituzionali:«Attenti ai palazzi – ripete un paio di volte don Zurzolo – attenti ai palazzi perchè non fanno gli interessi della gente. Facile “lavare la faccia” – dice testualmente – a mamma Liliana che poi rimane da sola a casa col suo dolore. I familiari delle vittime di ‘ndrangheta qui presenti chiedono alla società intera un riscatto delle coscienze. Io oggi sono con loro e così come su Facebook siamo abituati a condividere appelli da tutto il mondo del tipo “Je suis Charlie”, io oggi dico che sono Liliana e tutti i familiari delle vittime di ‘ndrangheta che conducono un’esistenza brutta e sacrificata, custodendo un dolore incessante nel cuore, e affidandosi, nella solitudine della sera, solo nelle mani del Signore”.
Quando Liliana Esposito Carbone, mamma di Massimiliano, prende la parola al termine della funzione religiosa, l’emozione è palpabile. Nomina tutte le vittime innocenti di ‘ndrangheta della nostra terra «Perchè – ha spiegato – le porto sempre nel cuore» e rivolge un affettuoso pensiero a don Giuseppe Zurzolo aggiungendo, a proposito dell’imminente trasferimento, che «Ci mancherà, così come le sue parole di misericordia, redenzione e giustizia. Ma io – ha aggiunto – fin quando ne avrò la forza continuerò a onorare la memoria di mio figlio e delle altre vittime innocenti di ‘ndrangheta in questa cappella e ogni anno chiamerò don Guseppe».
Grazie Liliana e grazie don Giuseppe, perchè stamani si è andati oltre la celebrazione, oltre alla memoria, oltre alla ricerca di giustizia e verità ed è merito vostro. La Locride per bene ve n’è grata.