di Ivana Pascale*
BENESTARE – Alla notizia dell’aggressione della povera anziana benestarese Elisabetta Ceravolo, avvenuta nella prima mattinata di mercoledì 5 Agosto nella sua abitazione, ha tempestivamente fatto seguito sui social il “tamtam” della solidarietà che diffondeva il solito “mantra” della compassione collettiva, con manifestazioni del senso di pietà cristiana così sviscerate ed enfatizzate all’ennesima potenza da far commuovere persino i sassi.
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Si potrebbe obiettare: “Non è normale che avvenga tutto ciò? Non è normale che tragedie di questo tipo scuotano gli animi e le coscienze, suscitando rabbia e orrore verso i delinquenti che hanno usato violenza contro una vecchietta indifesa e inneschino, nel contempo, un profondo sentimento di compassionevole vicinanza verso la malcapitata?” Naturalmente sì. Ma la solidarietà e la compassione sono legittime quando non si riducono a sterili manifestazioni sentimentalistiche che durano quanto un battito di ciglia e che si avvalgono della rete per diffondere le foto della povera donna, tra l’altro ignara di tanta notorietà, allo scopo di estorcere plausi e consensi per annunci strappalacrime. Ancor più grave è quando l’immagine della donna piena di lividi ed ematomi, viene carpita con l’inganno e diffusa da chi, privo di codice etico e deontologico, specula sull’accaduto pur di conquistarsi uno spazio giornalistico.
La solidarietà è tutt’altra cosa! L’etimo latino della parola “solidus” (solido) fa riferimento alla solidarietà come ad un sentimento che implica, non solo semplice vicinanza, espressa verbalmente e senza impegni di sorta, ma condivisione della sofferenza, intesa principalmente come partecipazione e assunzione di responsabilità di un’intera comunità di fronte ai drammi sociali e, nel caso specifico, di fronte alla solitudine e all’abbandono degli anziani. Perché è proprio di questo che si tratta, visto che la vecchietta, quasi novantenne, viveva da sola e, soprattutto negli ultimi tempi, in condizioni molto precarie, con l’unica consolazione di poter contare, nei casi di necessità, sull’aiuto di alcuni vicini di buona volontà. E come si sa, la solitudine e l’abbandono, insieme alla fragilità fisica, fungono da sprone alle azioni malavitose.
Va anche detto che il caso della signora Ceravolo è emblematico di una cultura e di una politica completamente disinteressate al fenomeno dell’emarginazione e del disagio sociale se si considera che nella comunità benestarese, poco o nulla viene fatto per gli anziani soli, per gli emarginati e i disadattati che vivono in condizioni di estrema precarietà socio- economica, magari con i topi che gironzolano sotto il letto, e che in situazioni d’urgenza non trovano nessuno che li possa accompagnare in ospedale.
E’ impressionante il silenzio quotidiano delle istituzioni politiche, sociali e religiose cui dovrebbe toccare l’onere, con l’ausilio della comunità civile, di farsi carico di queste situazioni di sofferenza estrema; un silenzio che viene improvvisamente interrotto solo nel momento in cui i fenomeni esplodono in drammi, a volte irreparabili, per tradursi in sterili denunce o in rassegnate processioni di pigra solidarietà. Così come risulta altrettanto curiosa l’ambivalenza di scelte altruistiche da parte delle istituzioni locali, alcune delle quali per certi aspetti lodevoli, ma che risultano decisamente contraddittorie nella misura in cui a Benestare ci si prodiga così tanto ad attuare piani di accoglienza per gli extracomunitari, trascurando di intervenire invece in situazioni di disagio sociale altrettanto gravi. Chissà perché…
*: segretario del circolo Pd di Benestare