di Gianluca Albanese
LOCRI – Non basta avere un cognome “ingombrante” per essere condannati per 416bis. La lettura della sentenza appena pronunciata dal giudice Alfredo Sicuro dice che Antonio e Rocco Commisso sono innocenti. Il primo, già assessore all’Ambiente dell’amministrazione comunale di Siderno dal 2006 al 2010 aveva concluso l’esame condotto dal PM Antonio De Bernardo (che aveva chiesto per lui una condanna a 12 anni di reclusione) puntando tutto sulla pulizia della sua attività politica e amministrativa e dicendo a chiare lettere di avere rimesso il proprio mandato e, soprattutto la propria attività politica, nelle mani dei giudici, essendosi ritirato a vita privata immediatamente dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia.
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Poi l’arresto, l’anno e tre mesi di una detenzione cautelare rivelatasi ingiusta, la scarcerazione ottenuta ricorrendo ai più alti gradi di giustizia – ottimo il lavoro svolto dagli avvocati difensori Francesco Commisso e Giuseppe Belcastro – e il ritorno alla vita di tutti i giorni, ai suoi affetti famigliari , alla sua squadra di calcio amatoriale dei “Vavalaci” e a una dimensione pubblica vissuta nel campo del volontariato e nell’associazionismo, specie in quello sportivo. Proprio così. Chi non ricorda le domeniche in cui insieme a pochi altri volontari (Luigi Errigo e Mario Congiusta in primis) ripuliva il verde pubblico armato di zappa, pur di fare qualcosa di buono per il proprio paese? Noi le ricordiamo. Così come ricordiamo la sua passione politica mai sopita e che però non aveva potuto più coltivare.
Ora, tornerà ad essere padrone di cimentarsi – se lo vorrà – in un’attività utile alla propria comunità, specie in materia ambientale, quella che più di ogni altra è nelle sue corde.
Nato e cresciuto a New York, una lunga permanenza a Roma negli anni universitari e la voglia di cimentarsi nell’amministrazione cittadina una volta tornato a Siderno, “Biona” non aveva messo in preventivo i rischi derivanti da parentele “ingombranti”. Ora è tutto superato, lasciato alle spalle.
Lo ha detto una sentenza “in nome del popolo italiano”.
Idem per suo cugino Rocco, il figlio del boss Giuseppe detto “Il Mastro”, difeso dall’avvocato Mario Santambrogio. Anche lui ha avuto il suo da fare per mostrare che essere figli di un capo ‘ndrangheta non equivale automaticamente a essere ‘ndranghetisti. Ora potrà tornare a gestire la sua scuola guida e a dedicarsi alla sua passione per le arti marziali orientali dal nome impronunciabile. Un’attivita’ che lo ha portato a lunghe e faticose trasferte fuori Regione. Una passione che forse nemmeno suo padre capiva, perché come dichiarato da Rocco Commisso in sede di esame davanti al PM gli ripeteva spesso “ma chi vai facendu?”.
Una considerazione finale va fatta, infine, sulle condanne – pesantissime – degli altri imputati. La condanna 12 dell’ex consigliere regionale Cherubino rispecchia la richiesta del PM. Quelle inflitte agli altri (10 anni e mezzo a Giovanni Verbeni e Rocco Damiano Tavernese e nove e mezzo a tutti gli altri condannati) sono addirittura superiori.
In questi casi, si usa rispettare la sentenza di primo grado e attendere il deposito delle motivazioni della sentenza, che sarà fatto entro i canonici 90 giorni.
Quindi, gli avvocati preparano bene l’appello perché chi non è stato condannato dopo il terzo grado di giudizio può ancora far valere le proprie ragioni davanti alla Giustizia.
Noi chiediamo, in primis a noi stessi, di rispettare la sofferenza dei condannati e dei loro congiunti che, nel caso di Cherubino, ha lasciato segni pesanti.