Il protagonista di oggi è Vittorio Michele Craxi classe 1964. Meglio conosciuto come Bobo Craxi, figlio secondogenito dello statista Bettino Craxi. Giovanissimo, Bobo Craxi entra nella massima assise milanese occupando lo scranno di consigliere comunale del capoluogo lombardo e al contempo è nominato segretario del Psi cittadino, lo sarà sino al 1991. Il dopo “mani pulite” lo avvicina al centro destra che gli assicura un seggio in parlamento nel collegio di Trapani nel 2001. Ma Craxi ha nel suo elicoidale cromosomico i distintivi geni di uomo di sinistra e si spende negli anni a venire per ricostruire l’unità socialista all’interno del centro sinistra.
E’ sottosegretario agli esteri con delega ai rapporti con l’Onu nel secondo governo Prodi. Oggi si candida come capolista al Senato per il Partito Socialista nel Lazio. «Non sono in grado di giudicare se questa campagna elettorale sia stata bella o brutta: diciamo che essa si sta connotando per i suoi aspetti più propagandistici, nella demonizzazione generica degli avversari, per delle proposte che non stanno né in cielo, né in terra»: una delle sua ultime dichiarazioni; quindi noi lo abbiamo raggiunto per saperne di più e raccogliere qualche sua riflessione sulla singolare congiuntura politica ed economica dell’Italia di oggi, con questa intervista telefonica, che il leader socialista ci ha gentilmente concesso
Il 30 agosto delle scorso anno lei ha rilasciato un’intervista al Tempo, nella quale vengono riprese le rivelazioni dell’ex ambasciatore americano Reginald Bartholomew sul ruolo degli americani sull’inchiesta di Mani Pulite. La domanda che le faccio è questa: perché in Italia di tutta quella vicenda se ne parla ancora poco? Ma soprattutto secondo lei quei dirigenti del Pds che allora commisero l’errore di cavalcare la tigre di Tangentopoli contro i partiti di Governo, hanno definitivamente superato quell’atteggiamento così corrosivo e pregiudiziale? E il Pd di oggi le sembra più maturo e capace di raccogliere lo spirito innovatore di quelli che molti definirono “l’eresia riformista” del vecchio Psi Craxiano?
Non è che se ne parla poco delle vicende di Mani Pulite, quando se ne parla le tesi contrapposte dell’epoca sono rimaste tali sul piano storiografico, il revisionismo si avvalora oggi non più di tesi teoriche, ma di fatti concreti.
Quella dell’ingerenza della diplomazia statunitense sull’inchiesta non è una congettura filosofica, è un fatto acclarato dall’auto denuncia delle personalità, che lei ha citato prima, cioè Bartholomew. L’Italia era è resta un Paese chiave, all’ora nella costruzione dell’Europa, e prima un Paese di frontiera contrapposto al Paese del Patto di Versavia. Nel 1992 l’Europa e’ unita non solo nelle istituzioni, ma anche sul piano economico, ed è chiaro come il suo indebolimento avrebbe procurato un vantaggio ai suoi competitori economici. Posto che l’Italia, ieri come oggi, rimane un Paese legato strettamente all’alleanza Atlantica, è un Paese occidentale che ha tutto l’interesse a tenersi dentro l’area di riferimento dell’orizzonte, collegato con gli Stati Uniti d’America. La crisi politica, oggi come allora, ha portato ad una crisi che riguarda anche interessi di carattere internazionale. Il Partito Comunista dell’epoca ebbe interesse a rovesciare il quadro politico esistente, e quindi, adottò una tattica strumentale, e dinanzi agli scandali, che non erano pura invenzione della stampa e dei magistrati, ma rappresentavano in parte il sistema di finanziamento illegale di tutti i partiti. Il Pds fece un investimento che non fu sbagliato, visto che oggi, il Pds allora, il Partito Democratico oggi, rappresenta l’eredità di quella stagione.
Il Pd in linea diretta è un erede del vecchio Partito Comunista. Il Pd di oggi è un partito diverso rispetto al Partito Comunista dell’epoca, dialoga con le forze riformiste e progressiste europee e il carattere della sua evoluzione ideologica e programmatica, mi fa pensare che sia un partito diverso dal Partito Comunista dell’epoca.
È ancora dell’avviso che la posizione di Monti sull’art.18 non sia stata dettata da una necessità di politica economica, ma da un pregiudizio di carattere ideologico?
Non c’è dubbio che alcune questioni relative alle riforme del mercato del lavoro assumano più che altro valori simbolici che non elementi di natura pratica, ciò non significa che non si debba essere innovatori, modernizzatori, anche in quel campo, ma quando le presupposte innovazioni partono da un presupposto di carattere ideologico, rischiano di essere soltanto delle mere iniziative propagandistiche. Ciò detto, sono convinto che il processo di rimodernizzazione del Paese passa anche attraverso un revisionismo anche delle stesse conquiste ottenute dal Partito Socialista trent’anni orsono. È evidente che la società è in divenire, quindi non è possibile immaginare di governare una società complessa come quella italiana, in Europa, adottando misure ed esperienze che appartengono al secolo che ci portiamo alle spalle.
Condivide questa legge elettorale? Quale sarebbe per Lei quella ideale e più ampiamente rappresentativa, ma al contempo capace di garantire governi forti, affidabili e credibili?
Tutte le dottrine che sono state praticate dalla fine della Prima Repubblica ad oggi sono andate nella direzione opposta. Se è vero che il sistema bipolare maggioritario garantisce una certa stabilità e un principio di alternanza, è altrettanto vero che sul piano dell’organizzazione della democrazia abbiamo assistito alla moltiplicazione dei partiti nelle liste, e alla scomparsa delle fruizioni dei partiti all’interno della società. Il sistema politico elettorale privato della scelta diretta dei cittadini rappresenta un’anomalia da correggere. Sul piano strettamente politico generale, penso che si debba andare verso un orizzonte di carattere europeo, cioè un orizzonte nel quale conservatori e progressisti si conteggiano.
Le forze politiche che si contendono la guida del Paese hanno tutte le loro ricette per uscire da una congiuntura economica recessiva. Lei non ritiene propedeutiche a queste la necessità di mettere mano alle riforme strutturali del Paese, senza le quali tutto risulterebbe vano?
È tangibile che ci siano dei ritardi. Che i ritardi siano figli di questo ventennio è altrettanto vero. Ma la congiuntura economica non è un problema che riguarda solo l’Italia. Questo mare in tempesta si può affrontare meglio. È un mare sostenuto da correnti che non sono direttamente provenienti dalla nostra condizione particolare. Si deve e si può fare sempre meglio e di più. Si deve e si può migliorare. In particolare riequilibrare il peso e l’onere della crisi che non deve essere pagata dalla classe sociale meno abbiente. Deve e può lo Stato fare di più per ridurre il peso di volume della propria spesa. Ma ciò non significa che lo Stato debba abdicare al proprio ruolo principale di elemento ordinatore e coordinatore delle politiche economiche. C’è chi dice meno Stato, io al contrario penso che lo Sato più giusto debba essere l’elemento cardine nelle nostre società. A maggior ragione più Stato italiano, più regole internazionali, più coesione all’interno dell’Unione. Questo può fronteggiare la crisi che stiamo vivendo.
SIMONA ANSANI