di Gianluca Albanese (Ph. Enzo Lacopo)
LOCRI – Locri ha il suo Trilussa. E’ Carlo Ernesto Panetta, un passato da Dj radiofonico e conduttore televisivo, e un presente da apprezzato poeta dialettale, che ieri sera, in una piazza del borgo antico di Moschetta più bella che mai, ha presentato “‘A terra d’i supprezzati” (2015, Pancallo Editore), la sua ultima raccolta di poesie pungenti ma anche romantiche, ironiche ma pure devote e animate dalla Fede.
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Quella di ieri sera è stata innanzitutto una grande manifestazione d’affetto nei confronti di Ernesto, e anche un tributo al suo estro creativo.
Accanto a lui, tanti amici al tavolo dei relatori, a comporre un pezzo significativo del mondo culturale, letterario e poetico della Locride: da Ugo Mollica che ha moderato i lavori, a Franco Blefari, passando per Filippo Todaro, Franco Pancallo, Carlo Pascale e così via.
Tutti a dire qualcosa sulle poesie di Panetta e a leggere i passi più significativi: da quelle dedicate alla Madonna e a Gesù, intrise di fede e devozione, alle liriche pungenti verso i politici e amministratori locali, definiti dall’autore “testi di murruni”, o alla moglie, che al comparire dei primi acciacchi, diventa anche lei, oltre che compagna di vita alla quale si è giurato amore eterno, oggetto di qualche verso sarcastico.
Ernesto scherza. Su tutto. Anche sulla sua salute divenuta, negli ultimi anni, cagionevole. Non fa mistero di nulla e per scongiurare i malanni scrive una poesia sui lamenti «Ahi Ahia mia» che il gruppo folk “Gli Argagnari” mette in musica con un terzinato molto trascinante e divertente, che coinvolge il pubblico presente che non può fare a meno di cantarne il ritornello.
Moschetta, intanto, ascolta deliziata con la maestosità dei suoi palazzi antichi e una brezza che rende piacevole la permanenza fino a fine serata, mentre ognuno dei relatori analizza un aspetto della poetica di Panetta.
Secondo Franco Blefari «Ernesto ha trovato il modo, attraverso la poesia, di raccontare a Dio il suo calvario, tanto che riesce a ironizzare sulle sue degenze ospedaliere in giro per l’Italia e dialoga tranquillamente con “sorella morte” perché sorretto da una grande fede. La preghiera per lui – ha concluso Blefari – è la fascia che cura tutte le ferite».
Lunga e dettagliata l’analisi di Carlo Pascale, che tra l’altro rileva che «Ciò che manca ad Ernesto lo ritrova con la sua poesia e nell’amore della famiglia. Ciò che non gli dà pace, invece, è il mondo rovinato dall’indifferenza».
Filippo Todaro parte dalla poesia che dà il titolo alla raccolta presentata ieri, per dire che «La serata c’insegna che noi calabresi dobbiamo essere rispettati nel nostro essere», una tesi, questa, corroborata da Franco Pancallo, che aggiunge che «La sua opera contribisce alla difesa del dialetto mediante una poesia mai urlata e astiosa, ma nemmeno mielosa, in cui non c’è traccia di nostalgia o depressione».
E poi, una considerazione che racchiude più di ogni altra il senso della serata e del libro, quando dice che Ernesto Panetta «Lascia in eredità un grande valore di dignità».
Chapeau. All’autore delle poesie e all’associazione Pro Moschetta che a fine serata ha consegnato una targa ricordo a Ernesto Panetta