(ph.Domenico Mirigliano)
di Francesco Tuccio
I cieli tersi di soli abbacinanti sono ormai lontani ricordi e la spiaggia è solinga e ingrigita, d’inverno, quando le torbide fiumare “corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque”.
{loadposition articolointerno, rounded}
Passano gigantografie mutevoli. Squarci di luci fendenti e tenui irradiano di colori forti e sfumati le nubi frastagliate nella solennità dei cieli. Affiorano increspature di venti, acque balenanti nella profondità d’orizzonti spersi e la volta ribassata si lascia lambire con un dito. Pennellate di visionaria sapienza della natura.
Le barche cariche di salsedine sono tirate in alto, a secco, al riparo dei marosi che come mille puledri bianchi irruenti rifrangono e dilatano in spume possenti, si arrendono, rifluiscono nella risacca, tornano inesausti da cigliate scogliose, fosse fangose e dune sommerse. Il mare inghiotte e rigurgita rottami d’arbusti, d’alberi e di canneti assieme ai simboli della nostra indecenza.
Solo chi sa parlare alla solitudine può sentire l’afflato tiepido degli infiniti e lasciare le orme dei suoi pensieri sulla sabbia della spiaggia dorata dalle albe arrossate, d’inverno.