CASSAZIONE: SEMPRE RESPONSABILE CHI HA UN CANE, ANCHE SE LO AFFIDA
Il proprietario di un cane risponde delle condizioni in cui viene tenuto anche se l’ha lasciato in custodia ad altri. Infatti, egli non solo deve dare precise indicazioni all’affidatario ma anche assicurarsi che vengano rispettate. Lo ha deciso la Corte di cassazione, con la sentenza 41362/2014, nei giorni scorsi, confermando la condanna di un uomo per aver lasciato il proprio animale legato ad una catena corta, senza acqua e cibo, circondato da mosche e con ferite alle orecchie in apparente stato di abbandono.
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Il ricorrente, dal canto suo, ha ribadito la legittimità del proprio comportamento precisando di avere affidato l’animale ad un’altra persona durante la sua assenza, che la ciotola dell’acqua era stata trovata vuota perché rovesciata dall’animale (“Il che dimostrava la possibilità di muoversi”), nonché di aver lasciato una pomata per la cura dell’infezione alle orecchie. Mentre la catena era uno “strumento di precauzione” lungo oltre due metri e mezzo.
La motivazione della Corte è chiara. Per i giudici di Piazza Cavour, invece, il reato di “abbandono di animali” (articolo 727 del codice penale) “non è contravvenzione necessariamente dolosa, in quanto può essere commessa anche per semplice colpa”. Dunque, detenere animali “in condizioni incompatibili con la loro natura o in stato di abbandono, tanto da privarli di cibo e acqua, è penalmente imputabile anche per semplice negligenza”.
Per cui, secondo le carte, la Suprema Corte ha ritenuto colpevole l’imputato perché, prima di assentarsi, “non si era curato di far osservare, da parte della persona incaricata di badare al cane, precise attenzioni (tenerlo con sé, liberarlo per un certo tempo, portarlo in giro al guinzaglio di tanto in tanto e munirlo di cibo e acqua sufficiente)”. Al contrario, ha accertato che “alle 15 del 16 agosto, in un momento di piena calura, i recipienti erano insufficienti o non compitamente riempiti, come documentato dalle foto, che ritraevano altresì l’animale con la lingua totalmente estroflessa, gli occhi semichiusi, la pelliccia scomposta ed evidenti ferite sanguinolente alle orecchie”.
Invece, i giudici di Piazza Cavour hanno considerato irrilevante la presenza della pomata, così come la distribuzione di crocchette e acqua solo una volta al giorno. Il motivo? Eccolo: “Dopo appena tre ore dal dichiarato riempimento della pentola l’acqua risultava assente”. E, ancora, hanno giudicato fonte di sofferenza il fatto che il cane sia stato lasciato legato ad una catena “troppo corta” per quattro giorni “salvo che per i pochi minuti destinati alla somministrazione delle crocchette”. Del resto, “la situazione non sarebbe mutata se la catena fosse stata di lunghezza maggiore”. Da qui la condanna per “l’esistenza di una situazione di incompatibilità con la natura dell’animale”.
(Fonte nelcuore.org)