di Gianluca Albanese
MARINA DI GIOIOSA IONICA – La cosca di ‘ndrangheta dei Mazzaferro (contrapposta al clan rivale degli Aquino) esiste, ma occorre provare dei concreti elementi di partecipazione al disegno criminoso del sodalizio da parte dei soggetti condannati in primo grado e in appello nel processo “Circolo Formato”.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, presieduta dal giudice Giacomo Fumu, che ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata nel confronti degli ex assessori comunali Agostino Rocco (difeso dall’avvocato Cosimo Albanese) e Ieraci Vincenzo (difeso dall’avvocato Angelo Carmona), oltre che di Agostino Vincenzo (anch’egli difeso dall’avvocato Cosimo Albanese), mentre annulla con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Reggio Calabria, limitatamente al capo A, la sentenza impugnata nei confronti dell’ex sindaco Rocco Femia (difeso dagli avvocati Franco Coppi ed Eugenio Minniti), ritenuto, invece, colpevole dei reati ascritti al capo E, ovvero di turbata libertà degli incanti a favore del coimputato Larosa Salvatore.
E’ quanto si evince dalla lettura delle 42 pagine di motivazioni della sentenza della Suprema Corte pronunciata lo scorso 12 ottobre, che ha annullato i ricorsi proposti dalle difese degli altri imputati Agostino Francesco (condannato a 6 anni di reclusione e 26.000 euro di multa), Avenoso Franco (condannato a un anno e sei mesi di reclusione) e Larosa Salvatore (condannato a un anno di reclusione e 600 euro di multa).
Le ragioni della Cassazione, infatti, partono da un’analisi delle sentenze di appello, che si basa su un assunto fondamentale, ovvero che «Nel caso particolare di una relazione fra uomo politico e gruppo mafioso, non basti, per la sussistenza del concorso esterno, una mera vicinanza al detto gruppo od ai suoi esponenti, anche di spicco, e neppure la semplice accettazione del sostegno elettorale dell’organizzazione criminosa, ma sia necessario un vero patto in virtù del quale l’uomo politico, in cambio dell’appoggio elettorale, si impegni a sostenere le sorti della stessa organizzazione in un modo che, sin dall’inizio, sia idoneo a contribuire al suo rafforzamento o consolidamento. In tale ottica non appare necessaria, per la consumazione del reato, la concreta esecuzione delle prestazioni promesse anche se, il più delle volte, essa costituisce elemento prezioso per la dimostrazione del patto e della sua consistenza».
Fin qui le decisioni della Suprema Corte.
Di seguito, invece, proponiamo alla vostra lettura, una sintesi delle decisioni sulle singole posizioni processuali.
«Fondato – scrivono i giudici di Cassazione – è il ricorso proposto nell’interesse di AGOSTINO Rocco».
«Orbene, ritiene il Collegio, che a parte la sempre possibile utilizzazione di terminologie non del tutto esatte e corrispondenti alla fattispecie contestate nella impugnata sentenza, i giudici di merito non abbiano con esattezza individuato quegli elementi sulla base dei quali ritenere che in assenza di formale affiliazione il ricorrente possa ritenersi avere posto in essere condotte ugualmente significative del suo stabile ed organico inserimento nella cosca.
E tali elementi – è scritto nelle motivazioni della sentenza – non sembrano possano desumersi dalla isolata conversazione che AGOSTINO Rocco intrattiene con il capo società MAZZAFERRO Rocco, riportata alle pagine 168-169 della sentenza impugnata, nella quale vengono affrontati temi di rilievo esclusivamente politico e che non palesa una fedeltà del ricorrente nei confronti del “capo-società” tale da potere ritenere che quest’ultimo possa contare sul costante e fattivo contributo dell’AGOSTINO per le attività operative della cosca».
«Vale infatti il principio giurisprudenziale più volte reiterato da questa Corte secondo cui in tema di associazione di tipo mafioso, la mera frequentazione di soggetti affiliati al sodalizio criminale per motivi di parentela, amicizia o rapporti d’affari ovvero la presenza di occasionali o sporadici contatti in occasione di eventi pubblici e in contesti territoriali ristretti non costituiscono elementi di per sé sintomatici dell’appartenenza all’associazione», «E nel caso in esame gli elementi valorizzati dai giudici di merito danno atto dell’esistenza di isolati rapporti dell’AGOSTINO con MAZZAFERRO Rocco, ovvero con altri supposti esponenti dello stesso clan, del tutto inidonei però a dimostrare che il ricorrente avesse volontariamente aderito ad un programma delittuoso generico ed astratto».
«Altresì fondato – scrivono i giudici della Cassazione – è il ricorso proposto nell’interesse di AGOSTINO Vincenzo».
«In primo luogo, deve essere evidenziato, come il predetto ricorrente non abbia alcun contatto con il presunto capo del gruppo criminale e non risulti avere intrattenuto con questi alcun rapporto personale; a carico di AGOSTINO VICENZO infatti né il primo giudice né la Corte di appello evidenziano colloqui, contatti o frequentazioni con MAZZAFERRO Rocco che pure altri imputati risultano avere anche in maniera assai frequente».
«Lo stesso AGOSTINO, ancora, non è tra i soggetti indicati quali componenti del gruppo criminale dal MAZZAFERRO ROCCO».
«Seppure dovesse ammettersi che le elezioni furono lo scontro tra due contrapposti gruppi criminali, il semplice appoggio fornito dal cittadino ad una delle due liste, in una delle quali era inserito il figlio, non può valere certo come prova della partecipazione e dell’inserimento organico in un clan».
«Fondato è ad avviso di questo Collegio il ricorso proposto nell’interesse di IERACI Vincenzo».
«Un tale ruolo – è scritto nelle motivazioni della sentenza, a proposito del ricorso proposto contro la sentenza di Appello – non poteva desumersi dalla sola candidatura all’interno di una lista risultata vincitrice alle elezioni, non essendo emersi elementi da cui ritenere che detta candidatura fosse dipesa da un accordo con la cosca ovvero dalla promessa fatta al gruppo criminale di agevolare gli interessi dello stesso in seguito alla elezione».
«Il ricorso proposto nell’interesse del LAROSA Salvatore è manifestamente infondato e deve pertanto essere dichiarato inammissibile non sussistendo né la lamentata violazione di legge né il difetto di motivazione dell’impugnata sentenza».
«Anche il ricorso di AVENOSO Franco è inammissibile per manifesta infondatezza».
«Nel caso in esame il ricorrente risulta avere divulgato ad un soggetto indiziato di associazione ndranghetistica notizie relative ad un controllo di polizia effettuato nei riguardi di supposti componenti della stessa cosca che, a loro volta, avevano incontrato soggetti organici ad altro gruppo pure malavitoso. Si tratta con evidenza di notizie assolutamente rilevanti nel contesto associativo, comunicate da un pubblico ufficiale ad un estraneo che avevano ad oggetto un preciso controllo di Polizia, così messo in condizione di avere confermata l’informazione circa l’esistenza di indagini nei confronti del proprio gruppo criminale».
«Si tratta – scrivono i giudici della Cassazione – di palese violazione dell’obbligo di segretezza che incombe sugli appartenenti alle forze dell’ordine peraltro commesso al fine di agevolare le condotte di soggetti oggetto di investigazioni antimafia».
«La mancata concessione delle attenuanti generiche – è scritto ancora nelle motivazioni della sentenza – è fondata su una motivazione esente da ogni censura e che correttamente sottolinea la gravità della condotta posta in essere da soggetto appartenente alle forze dell’ordine ed operante nello stesso territorio di operatività della cosca così favorita».
E poi:«Inammissibili perché manifestamente non fondati sono i motivi di ricorso proposti nell’interesse di AGOSTINO Francesco ritenuto responsabile, all’esito dei due gradi di giudizio di merito, del delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 contestatogli al capo T) per avere acquistato ed illecitamente detenuto un quantitativo superiore ai 500 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina».
Più complessa, risulta essere, secondo i giudici della Cassazione, la posizione dell’ex sindaco.
«Quanto alla posizione di FEMIA ROCCO, vanno esposte le seguenti considerazioni.
«I giudici di merito hanno poi ritenuto dimostrata la partecipazione all’associazione predetta da parte del FEMIA ROCCO in forza dei rapporti dallo stesso intrattenuti con il capo-clan MAZZAFERRO ROCCO, sia prima che dopo le elezioni comunali del 2009; è stato infatti accertato, attraverso l’analisi di numerose conversazioni telefoniche, che il FEMIA ha tenuto rapporti e relazioni con componenti di detto clan ndranghetistico, essendosi rapportato sempre con il capo MAZZAFERRO Rocco. Sul punto, le pronunce di merito, e la Corte di appello in particolare, hanno ampiamente esposto le risultanze di dette intercettazioni interpretandone il contenuto senza vizi di manifesta illogicità; la sentenza impugnata riporta alle pagine da 204 a 215 un’ampia esposizione delle frasi significative dei colloqui intercorsi tra il ricorrente FEMIA ed il coimputato separatamente giudicato MAZZAFERRO ROCCO, ritenuto ad avviso di questo Collegio giustamente vertice, “capo società”, del predetto clan stigmatizzando come il capo-clan fosse intervenuto sia nella fase di preparazione della lista elettorale per segnalare proprio FEMIA ROCCO come candidato sindaco, convincere IERACI VINCENZO a candidarsi, risolvere altre problematiche sempre sotto la sollecitazione del ricorrente FEMIA, che nei momenti seguenti l’elezione dello stesso FEMIA a Sindaco. In particolare, dopo l’elezione, di fronte alle evidenti difficoltà che il Sindaco incontrava per la formazione della Giunta a fronte delle aspirazioni di molti soggetti a ricoprire la carica di assessore, interviene, su sollecitazione dello stesso ricorrente, sempre MAZZAFERRO ROCCO, il quale (si vedano le conversazioni citate alle pagine 224-227) si adoperava per convincere alcuni pretendenti alla carica di assessore comunale a soprassedere ed attendere un successivo “turno” oltre che per organizzare la distribuzione degli incarichi».
«Da tale ricostruzione, secondo i giudici di merito, risulterebbe la completa ingerenza del MAZZAFERRO nella gestione del Comune di Marina di Gioiosa Jonica, come dimostrato anche da alcune vicende specifiche successive le elezioni indicate a pagina 227-228; ingerenza già acclarata dal Tribunale di primo grado secondo cui il FEMIA è “l’uomo su cui la cosca può puntare per ammantare di insospettabile legittimità l’operato della Giunta comunale insediatasi all’indomani della vittoria della competizione elettorale”. E la consapevolezza con la quale FEMIA opera in relazione con il capo-cosca “ascrive alla sua condotta quell’indiscusso significato di intraneità al sodalizio criminale”».
Tuttavia, i Giudici della Cassazione aggiungono che «Tali conclusioni sono, ad avviso di questa Corte, frutto di errata interpretazione della norma penale in punto di dimostrazione dell’intraneità associativa mafiosa a prova della partecipazione, dell’inserimento organico, secondo quanto in precedenza esposto non è mutuabile attraverso la dimostrata esistenza di rapporti, pur ripetuti, con esponenti anche di vertice dell’organizzazione ndranghetistica che non abbiano alcun contenuto illecito. L’equazione FEMIA ha intrattenuto frequenti contatti con il MAZZAFERRO prima e dopo le elezioni, e quindi è associato mafioso del clan dallo stesso capeggiato, non tiene conto delle possibili causali alternative di tali rapporti e costituisce una sorta di scorciatoia probatoria della partecipazione non accoglibile. Gli elementi desumibili dalle sentenze di merito, pur dando conto di plurimi e ripetuti contatti tra FEMIA e MAZZAFERRO, non permettono in alcun modo di ricavare la volontaria e cosciente partecipazione del primo al programma delinquenziale tipico dell’associazione di cui all’art. 416 bis cod.pen., essendosi evidenziati soltanto fatti di per sé privi di rilevanza criminale e relativi invece al coinvolgimento di un esponente di vertice di un’organizzazione criminale in attività politiche per ciò solo non dotate di rilevanza penale. In conclusione, sul punto, l’impugnata sentenza non ha fornito elementi sufficienti per ritenere FEMIA Rocco associato mafioso. Oltre ai rapporti con il MAZZAFERRO, gli altri elementi valorizzati dai giudici di merito hanno valenza indiretta ed equivoca non adeguati per dimostrare che il Sindaco avesse partecipato al clan con il preciso ruolo di componente dello stesso e non sono idonei a fornire tale prova neppure ove se ne operi una lettura congiunta con la vicenda elettorale.
Deve pertanto essere escluso che i citati precedenti giurisprudenziali e le condotte valorizzate dai giudici di merito possano ritenere provata la partecipazione del FEMIA all’associazione costituita dal clan MAZZAFERRO dovendosi sul punto accogliersi i motivi di gravame che hanno eccepito violazione di legge e vizio di motivazione».
«Tuttavia, ad avviso di questa Corte, le condotte del FEMIA, ampiamente esposte dai giudici di merito sotto il profilo della sua relazione preferenziale con MAZZAFERRO ROCCO, capo di una cosca locale, potrebbero non essere prive di qualsiasi rilievo penale; esse infatti, costituiscono il tipico sintomo dell’esistenza di una parte del patto di scambio politico-mafioso».
«Risulta evidente che FEMIA si rivolge a MAZZAFERRO al fine di imporre una determinata linea e determinate scelte politiche agli altri soggetti interessati e coinvolti nelle vicende pre e post elettorali e che non avendo questa autorevolezza chiede l’intervento di un soggetto che, per il ruolo rivestito, è in grado di farsi ubbidire.
Difatti, non essendo emersa valida ragione alternativa perché FEMIA si rivolgesse a MAZZAFERRO per ottenere il suo intervento, avendo i giudici di merito escluso la causale alternativa esposta dalla difesa con argomenti privi di qualsiasi censurabilità, correttamente e logicamente i giudici di merito ne hanno tratto la consapevolezza da parte del prevenuto».
«Correttamente quindi si è affermato essere certo che FEMIA era ben consapevole del rilevante ruolo criminale svolto dal MAZZAFERRO in quel particolare contesto locale ed in questo senso deve avere chiesto il ripetuto intervento dello stesso; sfruttando l’autorevolezza che il ruolo criminale gli conferiva, MAZZAFERRO interviene prima e dopo le elezioni a sostegno del FEMIA sia nella fase della predisposizione delle liste che per assicurare la formazione della Giunta comunale dopo l’elezione».
«Tuttavia, occorre a questo punto provare, per accertare l’esistenza di una condotta punibile ex art. 110-416 bis c.p., la controprestazione “politica” del patto di scambio e cioè individuare le condotte poste in essere dal Sindaco e significative della retribuzione al consesso associativo dell’appoggio da questi in precedenza ottenuto. Tale controprestazione va valorizzata dai giudici di merito attraverso l’adeguato riscontro di singole condotte concrete, anche tramite l’interpretazione delle conversazioni in atti, dalle quali desumere che FEMIA corrispose al clan vantaggi, favori, atti amministrativi od altre condotte a titolo appunto di corrispettivo».
«L’esame del materiale probatorio andrà pertanto ripetuto dai giudici di merito non più nel senso della dimostrazione di una partecipazione che deve ritenersi esclusa dall’assenza di qualsiasi dimostrazione del coinvolgimento stabile dell’imputato nell’organizzazione, quanto nella diversa prospettiva della esistenza di un tipico patto di scambio politico-mafioso».
«In questa ottica vanno valorizzate quelle condotte, come la vicenda dell’imprenditore Gargiulo, che possono ritenersi significative del citato patto di scambio politico mafioso e che dimostrino che ottenuto l’appoggio politico del capo clan MAZZAFERRO, sia nella fase di preparazione della lista che in quella di formazione della Giunta comunale, il Sindaco FEMIA corrispose poi ad elezione avvenuta concreti vantaggi a più esponenti della cosca od ad alcuni di essi attraverso atti concreti. E nella valutazione ed individuazione di tale frazione di condotta, vanno tenute nel debito ed adeguato conto anche tutte le condotte specifiche, evidenziate dalle difese del FEMIA, come significative di un suo totale distacco dagli interessi dei MAZZAFERRO per evitare che l’isolata considerazione di singoli ed insignificanti episodi possa assumere valenza dimostrativa della condotta di concorso esterno a fronte di plurime attività del tutto configgenti con gli interessi del gruppo criminale. In assenza della dimostrazione di un tale “corrispettivo” individuabile in concreto dai giudici di merito attraverso l’analisi degli elementi processuali andrà pronunciata assoluzione».
«Errata appare pertanto la conclusione del Tribunale, condivisa poi dalla Corte di appello con le osservazioni svolte alla pagina 215 della sentenza impugnata, circa l’esclusione della configurabilità del concorso esterno nella condotta di FEMIA ROCCO».
«Pertanto, in parziale accoglimento del ricorso l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria con riferimento alla posizione processuale di FEMIA ROCCO perchè valuti l’esistenza di condotte riconducibili al concorso esterno in associazione mafiosa».
«Inammissibili perché manifestamente non fondati sono invece i motivi proposti con riguardo alla contestazione di cui al capo e) della rubrica a carico del FEMIA ROCCO; al proposito devono essere richiamate tutte le osservazioni già in precedenza svolte quanto alla posizione del coimputato LAROSA. Difatti, il reato di turbata libertà degli incanti è configurabile in ogni situazione nella quale la P.A. proceda all’individuazione del contraente mediante una gara, quale che sia il “nomen juris” conferito alla procedura ed anche in assenza di formalità (Sez. 6, n. 44829 del 22/09/2004, Rv. 230522); e poiché che nel caso in esame è risultato che vennero convocate “fittiziamente” varie ditte al fine di fare ritenere pervenute più offerte tra le quali poi optare una “scelta”, che in realtà era stata precedentemente già operata a favore del correo LAROSA, non sussiste né l’invocato vizio di violazione di legge essendosi proceduto ad alterare una gara svolta da un ente pubblico pur se si trattava di appalto sotto soglia, né alcun difetto di motivazione avendo i giudici di merito adeguatamente ricostruito i fatti con ampia motivazione esente da ogni illogicità o contraddizione».
«In conclusione – scrivono i giudici della Suprema Corte – , le impugnazioni proposte nell’interesse di Larosa Salvatore, Avenoso Franco ed Agostino Francesco devono ritenersi inammissibili».
«L’impugnata sentenza deve invece essere annullata senza rinvio limitatamente ad Agostino Rocco, Agostino Vincenzo e Ieraci Vincenzo per non avere commesso il fatto e con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Reggio Calabria quanto alla posizione processuale di Femia Rocco».
«Deve infine dichiararsi definitiva l’affermazione di responsabilità del FEMIA quanto al delitto di cui al capo E)».