di Simona Ansani
Non c’è dolo se ci si preoccupa di ripulire il muro imbrattato dalla pipì del nostro amico a quattro zampe. È quanto hanno stabilito i giudici di Cassazione confermando l’assoluzione di un signore fiorentino accusato dai proprietari di un palazzo storico. Dunque, la Cassazione detta le regole per chi porta a spasso Fido. Il signore fiorentino, che era solito uscire con una bottiglia d’acqua, si è visto confermare dai giudici, l’assoluzione ricevuta in appello, dopo la condanna in primo grado. «Il dettaglio dell’acqua al seguito – spiega la Cassazione nella sentenza 7082 – dimostra che l’imputato si era preoccupato di minimizzare i danni».
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«È un dato di comune esperienza che il condurre un cane sulla pubblica via – si legge nella sentenza – apre la concreta possibilità che l’animale possa imbrattare con l’urina o con le feci beni di proprietà pubblica o privata».
«È però anche un dato di comune esperienza che, per quanto l’animale possa essere stato ben educato, – prosegue la Cassazione – il momento in cui lo stesso decide di espletare i propri bisogni è talvolta difficilmente prevedibile trattandosi di un istinto non altrimenti orientabile e, comunque, non altrimenti sopprimibile mediante il compimento di azioni verso l’animale che si porrebbero al confine del maltrattamento nei confronti dello stesso». «Ancora, è un dato di comune esperienza – aggiunge la sentenza – che i cani non esplicano i propri bisogni in luoghi chiusi di privata dimora, con la conseguenza che i possessori dei predetti animali che risiedono in agglomerati urbani si vedono necessitati a condurli sulla pubblica via: non sempre le Autorità locali sono in grado di predisporre luoghi appositi ove detti animali possano espletare i loro bisogni e comunque non può essere escluso che gli animali decidano (con tempi e modalità che non è possibile inibire) di espletare tali bisogni altrove o prima del raggiungimento dei luoghi a ciò deputati». «L’unica limitata sfera di azione che compete a chi è chiamato a condurre sulla pubblica via detti animali – concludono i giudici – è quella di agire al fine di ridurre il più possibile il rischio che questi possano lordare i beni di proprietà di terzi, quali i muri di affaccio degli stabili o i mezzi di locomozione ivi parcheggiati».