di Questura di Reggio Calabria
All’esito di complesse ed articolate indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, la Polizia di Stato ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. presso il locale Tribunale, nei confronti dei seguenti soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di numerosi episodi di furto, ricettazione e tentate estorsioni:
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1. BERLINGERI Cosimo nato a Melito di Porto Salvo (RC) il 29.08.1984;
2. BERLINGIERI Domenico nato a Reggio Calabria il 28.09.1979;
3. BERLINGERI Gianluca nato a Reggio Calabria il 27.09.1985;
4. BEVILACQUA Alessandro nato a Reggio Calabria il 21.08.1983;
5. BEVILACQUA Andrea nato a Reggio Calabria il 10.08.1989;
6. BEVILACQUA Massimo nato a Reggio Calabria il 21.12.1983;
7. BEVILACQUA Patrizio nato a Reggio Calabria il 30.08.1986;
8. MORELLI Francesco nato a Reggio Calabria il 10.10.1963;
9. MORELLI Vittorio nato a Reggio Calabria l’1.09.1989;
L’inchiesta condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria – con il supporto di numerosi presidi tecnologici – fa luce su una serie di vicende legate al fenomeno estorsivo, ampiamente diffuso nel territorio reggino, comunemente noto come “cavallo di ritorno”, posto in essere prevalentemente da soggetti appartenenti alla comunità rom stanziale nella città di Reggio Calabria, segnatamente nel quartiere Ciccarello.
Prendendo spunto dalla consumazione seriale di molteplici reati estorsivi avvenuti in città, in base a precise direttive impartite dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, gli investigatori della Squadra Mobile riuscivano ad individuare, nel corso delle indagini durate oltre un anno, un insieme di soggetti, dediti – con metodicità e sistematicità – alla sottrazione di veicoli ai proprietari con i quali successivamente prendevano contatti, previa loro individuazione attraverso le generalità riportate sui documenti custoditi a bordo dei mezzi rubati, al fine di porre in essere la richiesta estorsiva quale condizione ineludibile per la restituzione dei beni trafugati.
Le operazioni tecniche di intercettazione delle conversazioni telefoniche e di videosorveglianza consentivano agli inquirenti di ricostruire le dinamiche dei fatti estorsivi e di individuarne gli autori di etnia rom, residenti nel quartiere “Ciccarello”, grazie anche al riconoscimento vocale effettuato dagli operatori di polizia, con la specificazione dei ruoli di ognuno di essi resa possibile dall’acquisizione in diretta del contenuto delle telefonate estorsive, con cui le vittime venivano sollecitate, in forma più o meno esplicita, ma comunque sempre finalizzata al pagamento del riscatto nella prospettiva della restituzione del mezzi rubati.
Invero, nel corso delle attività investigative, è stato possibile accertare che le vittime – secondo una prassi consolidata – venivano contattate telefonicamente da uno o più soggetti legati alle dinamiche del “cavallo di ritorno”, con il compito di prospettare loro la restituzione del mezzo sottratto (per lo più autoveicoli e ciclomotori) dietro pagamento di determinate somme di danaro e in un luogo di volta in volta indicato dagli estortori.
Nello specifico, gli indagati, nell’effettuare le telefonate estorsive, facevano intendere alle vittime che il furto del mezzo era stato commesso da altri soggetti non meglio indicati e che loro ne erano venuti in possesso ed erano disponibili a restituirlo dietro compenso.
Durante le telefonate con le vittime, gli indagati si definivano “zingari di Ciccarello”, ed indicavano quale luogo di incontro per la riscossione del denaro punti diversi della zona di quel quartiere (in cui vivono diverse famiglie di etnia rom) comunque idonei a consentire alla vittima di individuare i referenti a cui rivolgersi per il pagamento e la restituzione del mezzo, i quali – in ogni momento – sulla base delle indicazioni fornite dalla vittima, erano in grado di mettere in relazione il veicolo rubato con l’estortore e quindi a contattare quest’ultimo per la restituzione del mezzo, previo pagamento del riscatto.
Si tratta di un meccanismo collaudato incentrato sulla presenza di diversi soggetti, partecipanti alle dinamiche delittuose, nel luogo indicato dal telefonista per porre in essere la transazione estorsiva, una sorta di centro di raccordo con un apparato di persone funzionante per la realizzazione delle finalità estorsive.
Nel corso delle indagini, non si registrava la collaborazione completa delle vittime – tranne che in un solo caso – tale da consentire agli inquirenti di procedere all’arresto degli estortori in flagranza di reato. Invero, nella maggior parte dei casi, le vittime del furto si limitavano a presentarne la denuncia, omettendo di informare la polizia giudiziaria delle evoluzioni estorsive.
Addirittura in un caso, un soggetto, vittima del cavallo di ritorno, veniva denunciato per favoreggiamento personale, avendo negato perfino sia di aver subito il furto della propria autovettura che la successiva richiesta estorsiva, venuti alla luce dalle attività di intercettazione.
Reggio Calabria 28 maggio 2015.