*di Giulia Tallura
Approfittare di momenti del genere per dare libero sfogo ai pensieri con una tempistica perfetta, dove ci vediamo tutti col capo inclinato a spulciare negli angoli più profondi di uno schermo, mi sembra tanto una di quelle strategie di marketing che vengono sfruttate per pubblicità di creme anticellulite a due mesi dall’estate, del tipo “mangia l’arancia per non avere la pelle a buccia d’arancia, però funziona solo se compri questo tubetto di crema da 33ml a 69,99euro”.
La verità, è che chiusa qui dentro, dove i più lunghi e sudati spostamenti si percorrono dal salotto al giardino di casa, ho iniziato a parlare a tono sostenuto con la mia mente: i primi giorni stava andando bene, non mi lamento.
Eravamo riuscite ad arrivare a compromessi ben costruiti, ci eravamo capite su molti aspetti e le discussioni duravano non più di 15/20 minuti ogni mezz’ora.
Ad oggi, sono subentrate le urla e i risentimenti, ed è proprio qui che si sente la necessità di non riuscire a tenere tutto dentro come in un vasetto di sottaceti: dove tutto è ben compresso, un elemento con l’altro, strato dopo strato, 0% aria.
Allora mi sdraio sul letto in camera dei miei, sperando che mia madre non entri perché quando è appena aggiustato come in questo caso, lei non ne vuole sapere di chiunque ci si voglia appoggiare sopra per un qualsiasi motivo, infatti in caso di attacco cardiaco, ci consiglia sempre la poltrona vicino la Tv.
Dicevo, mi sdraio qui, e inizio a parlare, o a scrivere, che sono le uniche due cose che non hanno mai smesso di piacermi, fin da bambina.
Sai, penso ad esempio ai pomodorini ciliegini che da piccola sputavo sempre nel piatto a mia nonna quando tentava di propinarmi “pani cu pumadoru stricatu” a merenda, e con un’aria di malinconia, lei me li toglieva dalla vista tutti, lasciandoci su, solo il sapore e qualche semino accompagnato dal colore roseo che solo un pomodorino ciliegino stricato (senza pomodorino), può lasciare.
Niente raga, in sostanza adesso i pomodorini ciliegini li mangio.
Quello che mi ha sempre fregato è che parlare e scrivere mi piace moltissimo ma quando lo faccio non ho mezze misure, infatti questo pezzo di me, doveva parlare di tutt’altro piuttosto che di creme anticellulite o pane col pomodorino, ma la paura di non riuscire a scrivere quello che veramente vorrei, mi sta inducendo a fare dei giri di parole infiniti.
Mi chiedo a questo punto come chiamerebbero questo strano fenomeno le mie amiche laureande in psicologia, magari dopo glielo chiedo.
Rimango sdraiata su questo letto e nel frattempo sento mia sorella ridere e scherzare con mia madre nell’altra stanza, mio fratello gioca alla play, ma continua così da circa 2 settimane con delle pause di circa sette ore a notte che sfrutta per dormire: l’indomani, dopo le videolezioni impartite dal liceo che frequenta, ricomincia con la solita routine e via così fino a quando, non lo sappiamo.
Gioca e parla al telefono con i suoi amici: la pubertà inevitabilmente li induce e parlare di argomenti dall’ironia spicciola, alle volte non li capisco perché cercano di usare parole in codice, altre, li capisco perfettamente e in quell’esatto momento, preferirei limitarmi alla prima occasione.
Vivere 24/7 nella stessa casa senza poter ritagliarsi i propri spazi fuori, è indubbiamente difficile per tutti noi.
Mia madre ha iniziato a lavorare da remoto, tra i cinque è l’unica costante qui dentro, la mattina si sveglia presto e ancora prima di aver aperto completamente gli occhi, ha già messo la moka sul fuoco.
Va in bagno, si lava, si veste, mette su, due rime di matita nera e un po’ di mascara, rossetto, e si mette davanti al Pc, lavora fino alle 13 ed esattamente alle 13 e 5 minuti stacca tutto, si riveste in abiti casalinghi e prepara il pranzo per tutti noi.
Il pomeriggio, la sua giornata è quasi tale e quale a tutte le altre, anche precedenti la quarantena.
Ma forse perché le mamme sono così, partono già avvantaggiate e pronte a qualsiasi evenienza, e contando anche che tutto quello che ci succede loro se lo sentivano già da 3 anni prima, può darsi che loro sapevano già tutto, e se lo fossero sentito dentro già 3 anni fa, che sarebbe arrivata la pandemia.
Io ancora oggi non ho metabolizzato quello che sta succedendo, mi sveglio la mattina pensando a ieri come se fosse tutto un gioco o uno scherzo messo su, per farci vivere 24 h di panico e restrizioni, solo per farci capire che prima o poi potrà arrivare il momento in cui diventerà la realtà.
Ancora il mio cervello non se n’è voluto rendere conto, il mio cuore non accetta e impulsivamente, le mie gambe ogni tanto si recano davanti all’armadio e gli occhi iniziano a guardare dall’alto al basso, per cercare cosa sarebbe giusto mettersi oggi in base al clima; allora la bocca risponde e inizia con le solite lamentele da ventenne, della serie: “non ho mai nulla da mettere”, “devo comprare dei jeans nuovi”, e poi arriva mia madre, che lei 3 anni fa sicuramente già se lo sentiva, e mi ricorda che non posso uscire, perché fuori c’è una pandemia in corso e lì, mi rendo conto che allora ieri non era poi così un gioco per farci mettere paura, che questa è la realtà e che io ci sono dentro.
E allora vado in cucina e faccio coffee break e mentre mi scotto le labbra perché non perderò mai il vizio di ficcare il muso dentro la tazzina senza soffiare, noto che è già il terzo giorno di fila che fuori è grigio, ma non piove.
Come se anche la primavera si fosse arresa davanti alla morte e alla malattia, come se si fosse presa il suo momento per riflettere e per chiedersi se davvero tutta quella luce serve a qualcosa, se quei colori hanno un senso, di fronte ad un mondo che ha deciso di spegnere la luce anche solo per un po’.
Allora mi immedesimo e mi immagino che sia tutto programmato, che potrebbe essere tutta una strategia per poterci dare più tempo, un tempo senza distrazioni che possa farci preparare tre esami entro luglio, un tempo per la nostra pelle di respirare lontana dai cosmetici, per i nostri capelli per crescere più sani senza l’uso di piastre e phon.
Un tempo per pensarci di più, per ripensare a quanto tempo abbiamo perso, a quanto tempo abbiamo impiegato alla perfezione.
In un tempo come questo che non ha orari, dove nessuno di noi è in ritardo e una chiamata è senza limiti perché non dobbiamo scappare da nessuna parte.
Un tempo per desiderarci fino alle lacrime, per arrivare alla fonte di un sentimento e apprezzare quanto abbiamo avuto, ma ci sembrava così ordinario, che non gli abbiamo mai dato così tanto valore.
Che sia dal letto dei miei appena aggiustato o da dietro questa finestra davanti ad un caffè intiepidito, mi tuffo in un tempo che ho disegnato dentro i miei pensieri da qui e sento:il conforto di una carezza; il calore di un respiro dopo un bacio senza schiocco; i rumori dei tacchi dentro i bar affollati; il vetro delle birre sopra i marciapiedi; sento il vociare dei ragazzi nei pratoni pieni delle università; sento il rumore di un portone che si apre; il suono dalle cuffiette di Luna che è appena tornata da tirocinio; Sissi chiude la porta del bagno e mi raggiunge in cucina; sento Roberta che parla al telefono; Fenti miagola fortissimo perché ha capito che qualcuno da lì a poco preparerà la cena.
Ed è proprio casa mia dentro una grande città di cui sento ancora il rumore, che stasera me la immagino piena, che qualcuno è sceso giù a prendere da bere dimenticandosi la mascherina; che la mascherina non ci serve più; che posso sorridere di nuovo ad un ragazzo per strada, perché porta la felpa di quella band che mi piace da morire; che ci stringiamo di nuovo l’uno sull’altro dentro un tram affollato che ci porterà in un posto che ancora, non avevamo mai visto.
Sento di nuovo, che c’è qualcuno che ride e si grida fortissimo cantando a squarciagola una canzone che sto suonando proprio io, che sono l’unica cantautrice di una canzone infinita, che canta di una vita stonata di cui so tutti gli accordi a memoria, che è proprio questo che ho messo su carta, e già, non lo ricordo più.
:* Studentessa di Scienze del Servizio Sociale – Università La Sapienza di Roma