«Le storie come le mie ricominciano sempre. Prendete un ragazzino e destinatelo alla povertà. Poi speditelo lontano da sua madre, in un posto dove non vuole stare e, se disubbidisce, punitelo severamente. Mettetegli davanti agli occhi dei vecchi abbandonati. Fategli anche subire qualche molestia dai preti. Quando diventa grande, mostrategli che Polizia e Carabinieri sono lì per fregarlo, in nome della legge e delle sicurezza delle persone perbene. Cosa potete aspettarvi? Che si faccia sfruttare contento? Che vi dica grazie?
Appena può, quell’animale morderà. Non penserà nemmeno di essere una vittima. Morderà e basta, Se avrà uno straccio di motivazione, morderà ancora più contento. Non è necessario che siano grandi ideali. Possono essere codici della malavita. Possono essere fanatismi religiosi. Vi siete fatti un nemico. Dovrete costruire posti dove tenerlo chiuso. Dovrete schiacciarlo. Lui proverà a ragionare. Cercherà di non soccombere. Forse arriverà addirittura a pensare di lottare insieme agli altri e di poter vincere».
Queste righe, assai significative, più che una sinossi contenuta nelle pagine conclusive di un libro, sono un biglietto di presentazione di sessantanove anni di vita, trenta dei quali passati a pagare un debito con la giustizia per reati tipici di una generazione. Quella degli anni ’70. Gli anni di piombo.
“Correvo pensando ad Anna” (2018, PGreco edizioni) di Pasquale Abatangelo si differenzia dalla corposa pubblicistica sugli anni del movimento di guerriglia rivoluzionaria dell’Italia post-sessantottina, per l’umanità delle vicende vissute dal suo protagonista, che con una prosa scorrevole e godibile racconta della sua infanzia da profugo proveniente dalla Grecia post-bellica, delle molestie subite in istituto a Firenze e del percorso criminale che intraprende quasi subito, per cercare di uscire da quella marginalità a cui la sua condizione di sottoproletario urbano l’aveva precocemente condannato.
E come molti giovani della sua generazione, da detenuto comune comincia a conoscere i libri e la tensione ideologica del suo tempo, diventando, in breve tempo, detenuto politicizzato aderente ai Nuclei Armati Proletari, sull’onda di quel movimento di lotta sviluppatosi nelle carceri italiane, che prevedeva il contatto tra gli intellettuali rivoluzionari e chi proveniva dalla criminalità comune.
Inizia un percorso di lotta in cui, tra un’evasione e l’altra, tra una cattura e una punizione durissima, si lega al mondo della lotta armata, teso a ottenere condizioni carcerarie più consone ai principi sanciti da Beccaria, ma anche a fare da seconda gamba a chi, fuori dalle prigioni, alimentava la prospettiva rivoluzionaria in Italia, in quella che Sergio Zavoli definì “La notte della Repubblica”.
Concetti un po’ astrusi se visti con l’occhio del contemporaneo. Molto chiari, invece, per quelli che come Abatangelo, quegli anni li hanno vissuti girando da un carcere all’altro, fino a passare dall’inferno dell’Asinara.
Non si andava per il sottile, a quei tempi. E le rivolte carcerarie erano all’ordine del giorno. I NAP (che poi confluirono nelle Brigate Rosse) in carcere erano organizzati e rispettati. Perfino temuti e odiati da camorristi e mafiosi.
Nelle pagine del libro di Abatangelo c’è la descrizione minuziosa di ogni episodio, di ogni contatto con l’esterno, della vicenda umana vissuta nei colloqui con la moglie Anna (cui è dedicato il libro) e i due figli concepiti prima della lunga parentesi da detenuto politicizzato. Ci sono le storie di fratture e divergenze nel movimento, e i ritratti dei protagonisti di quegli anni, da Mario Moretti a Prospero Gallinari, da Renato Curcio ad Alberto Franceschini. E se alla fine della storia solo Gallinari sembra uscire bene dal ricordo dell’autore, che non si è mai pentito né dissociato da quell’esperienza, per comprendere appieno la realtà di quegli anni, bisogna leggere quelle vicende, apparentemente lontane anni luce, con quella realtà fatta di duri pestaggi da parte degli uomini in divisa che orinavano nelle pentole della minestra somministrata ai detenuti e non andavano per il sottile coi trattamenti carcerari. Erano anni di legislazione speciale contro il terrorismo, e tutto era ammesso. Una linea della fermezza da parte dello Stato, condivisa in primis dai grandi partiti di massa, dalla DC al PCI, il cui leader del tempo Enrico Berlinguer veniva aspramente criticato da quelli del movimento rivoluzionario.
E c’è il sequestro Moro. Che costò anni e anni di carcere a Gallinari, scagionato molto tempo dopo dalla testimonianza di una brigatista dell’epoca, e durante il quale proprio le BR, in cambio della liberazione del leader democristiano, chiesero la liberazione di tredici detenuti politici, tra i quali c’era anche Pasquale Abatangelo, autore di un libro che va letto senza le lenti del pregiudizio, da parte di chi vuole conoscere questa pagina di storia contemporanea vissuta da uno dei suoi protagonisti.
“Correvo pensando ad Anna” verrà presentato sabato 25 maggio alle 18 nello spazio culturale “MAG. La ladra di libri”. Gianluca Albanese dialogherà con l’autore.
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