di Gianluca Albanese
Non chiamatelo “romanzo meridionale”. Una definizione del genere sarebbe riduttiva. Perché “Cosa rimane dei nostri amori” (2020, Aliberti) di Olimpio Talarico non è solo il primo episodio della “Trilogia di Caccuri” (borgo del Crotonese in cui l’autore affonda le sue radici) ma è soprattutto un avvincente giallo che si snoda in quasi tutta la seconda metà del ‘900 in una maniera che oggi si direbbe “Glocal”.
Già, Talarico descrive da par suo la propria terra, arricchendo la narrazione di luci, colori, sapori, odori e rumori, inserendosi in quella nouvelle vague di scrittori calabresi che scrivono della loro terra nella sua essenza più verace, ma con un respiro nazionale e internazionale, perché le vicende narrate avrebbero potuto tranquillamente svolgersi in qualsiasi altro piccolo centro d’Italia, in un mondo globalizzato in cui anche chi abita tra quattru casi e ‘nu furnu può ritrovarsi, se possiede le giuste doti e una buona dose di fortuna, all’attenzione dei media nazionali, nelle confortevoli vesti di personaggio famoso.
E’ il caso di Jacopo Jaconis, il musicista di Caccuri protagonista del romanzo scritto con la tecnica dell’io narrante, in cui la parabola del suo successo personale s’intreccia con le vicende di una “piccola città, bastardo posto” in cui il sottile piacere di passeggiare per viuzze strette e ripide, di frequentare i posti della propria infanzia, di entrare in bar con l’insegna metallica e circolare raffigurante un telefono nero su sfondo giallo, o in una bottega con le tendine plastificate a listelli multicolori, si scontra con la dura realtà di segreti celati dietro finestre apparentemente indifferenti, che travisano l’aspetto bello e gentile del proprio paese, antico guscio nel quale tornare per sentirsi protetti e a proprio agio e che invece nasconde realtà inimmaginabili.
Il giallo appassiona e coinvolge dalla prima all’ultima delle trecento pagine. I personaggi sono descritti in maniera così efficace da diventare familiari al lettore, visto che l’autore sa bene dove comincia “La grazia o il tedio a morte del vivere in provincia”, i ritmi, gli usi e le tradizioni del proprio borgo natìo.
Non è un caso che sia piaciuto così tanto a un gigante del giornalismo italiano come Ferruccio De’ Bortoli, che lo propose per il prestigioso premio Strega. Solo la riduzione della rosa di libri da 54 a 12 ha impedito all’autore – riteniamo soltanto per ora – la gioia di ricevere un così prestigioso riconoscimento. Ma poco importa, perché il giudizio più importante, come sempre, è quello dei lettori, che stanno apprezzando sempre di più “Cosa rimane dei nostri amori”, un romanzo del quale, quando hai finito di leggerlo, senti già la mancanza.
E allora, a presto, Olimpio. Riportaci a Caccuri col secondo episodio dell’annunciata trilogia. Per il momento salutaci Jacopo Jaconis e la sua crisi di mezza età, le sorelle e il maresciallo Nisticò. Perché dopo averti letto siamo tutti un po’ di Caccuri.