Più “indie” di così si muore. In tempi in cui le grandi etichette discografiche cercano di arginare la crisi andando a pescare anche nei fermenti locali, Fabio Macagnino si autoproduce, con l’aiuto dell’amico e compagno di viaggio Peppe Di Chiera, il suo secondo album, nel quale abbandona lo pseudonimo di “Scialaruga” e raggiunge la piena maturità artistica.
Di globale, nel Cd “Cosmopolitana mama”, infatti, c’è solo il respiro stilistico della musica e l’uso di un moderno esperanto nei testi, in cui si passa con disinvoltura dall’italiano all’inglese, partendo dal dialetto calabrese fino a realizzare quell’equilibrio ricco di originalità che si sposa col «tentativo – dice il cantautore – di restituire uno scenario carico di identità ma inserito completamente nel mondo sonoro contemporaneo internazionale». Proprio così, in “Cosmopolitana mama” Fabio Macagnino fa il cantautore. E lo si può definire tale non solo per le musiche curate con cura e frutto di tutte le influenze musicali di chi è cresciuto negli anni ’70 e ’80 (oltre che col tocco magico della produzione artistica di Stefano “Mujura” Simonetta), ma per i testi assolutamente all’altezza dell’armonia delle note. Liriche mai banali, spesso corrosive ma che aiutano a pensare e a riflettere, proprio come i cantautori veri sanno fare. Lui e Mujura, dunque, rappresentano dei veri e propri antesignani della canzone d’autore calabrese proiettata in uno scenario internazionale; una scuola che, sebbene nata da poco, guarda con fierezza e senza complessi d’inferiorità gli esempi di altri territori forti di ben altre tradizioni. Ma torniamo all’aspetto “indie” dell’album. L’estraneità alle leggi del mercato musicale globale, che decide tempi e modi di pubblicazione e spesso considera l’artista come un un mero fattore produttivo, viene elusa, anzi, sbeffeggiata, da una distribuzione che l’autore definisce “clandestina”, ovvero fatta col passaparola di chi conosce già il repertorio di Macagnino e canta le sue canzoni a squarciagola durante i concerti organizzati anche al di là dei soliti canali. Momenti di gioia e musica in cui vecchi e nuovi estimatori del cantautore di Caulonia si avvicinano ai suoi album e li acquistano in loco, con le copertine personalizzate dipinte a mano grazie all’estro creativo della sorella Vanessa. Pezzi unici, insomma, come unico è il talento artistico di questa famiglia (non dimentichiamo l’altra sorella Nadia, anch’ella cantante e musicista) vissuta tra la Locride e la Germania e che la musica ce l’ha nel sangue. Ma veniamo alle dodici tracce di “Cosmopolitana mama”
1) COSMOPOLITANA MAMA. La title-track è internazionale come un cocktail. Un “Negroni” o “Mojito” in cui i generi si fondono in maniera naturale in una miscellanea armonica su una base di pata-pata. E’ la quintessenza del “Jasmine coast sound”, l’inedito genere creato col progetto Scialaruga e ora giunto a maturazione. Il brano si apre con una spruzzata di reggae e si chiude col coro q.b. delle voci bianche “Le piccole gocce”. Caleidoscopica.
2) CARMA. La “candalia” diventa manifesto ideologico a ritmo di rock. “Chianu, iamu chianu”, predica il suo autore, riproponendo, a modo suo, il verbo degli anni della contestazione, in cui la lotta di classe si faceva anche “lavorando con lentezza”. Didascalica.
3) EUDIA. E qua il clima musicale degli anni ’70, quelli della psichedelia, per intenderci, influenza parecchio l’autore, con la voce che si fa più bassa e delicata, l’interpretazione più sofferta e le chitarre elettriche distorte più acide. Psichedelica
4) CANZUNI DUCI. Eccolo il testo da cantautore tradizionale. Struggente quanto basta, passionale come le parole “intingiuti ‘nta lu focu, ‘nta lu meli”. L’incedere del ritmo completa l’opera, tra le canzoni d’amore più belle del nuovo secolo. Quasi una figlia naturale de “Il cielo in una stanza”. Serenata rock
5) JASMINE BUTTERFLY. Famosissima perché eseguita da anni nei suoi concerti. E’ dedicata a Vanessa, la piccolina di casa, la sorella pittrice. Una ballad alla Dean Martin da danzare guancia a guancia nelle notti d’estate “by the jonian sea”. Ballo della mattonella
6) SULI. «Capita ‘nta vita ca poi si resta suli». L’autore sdrammatizza sugli alti e bassi dell’esistenza che non escludono momenti in cui, specie a fine estate, si rimane a guardare il mare in solitudine, mentre l’aria è intrisa dell’odore di terra bagnata dopo la pioggia. Magari a settembre, che per la “Canzone dei dodici mesi” di Francesco Guccini è sempre stato «Il mese del ripensamento sugli anni e sull’età». Gelato al veleno
7) NOTTE. Eudia parte seconda. Dopo il tramonto. Anche qui prevalgono le atmosfere psichedeliche e l’introspezione. Così come la poesia tocca vette altissime. Onirica.
8) TARANTELLA TRISTE. Il riff iniziale della chitarra battente di Francesco Loccisano riporta l’autore alla stagione (mai rinnegata, per la verità) della musica popolare, anche se la chitarra acida e distorta Di Vincenzo Oppedisano, lo riporta alla realtà odierna fatta, spesso, di superficialità a uso e consumo di chi vorrebbe evitare la riflessione perché – stavolta citiamo il Guccini della “Canzone di notte numero 2” – «Per chi non è abituato, pensare è sconsigliato. Poi è bene essere un poco diffidente, per chi è un po’ differente». Disincantata
9) TEMPU Dalla malinconia della canzone precedente alla protesta del brano in cui a tempo di rock si deve ammettere, a malincuore che, non c’è «nenti di novu, supa a chista terra, ch’è sempi la stessa, la stessa tarantella». Il terzinato, dunque, diviene metafora di una terra che non riesce o, più semplicemente, non vuole cambiare. “Esperia” parte seconda
10) LU STORTU. Se il brano fosse un singolo (magari un vecchio 45 giri in vinile) e si dovesse realizzare una copertina, dovendo scegliere il soggetto da immortalare ci sarebbe l’imbarazzo della scelta in queste latitudini. Il brano è un pugno nello stomaco a vittime e carnefici dell’individualismo, del disimpegno, del conformismo di chi bada anzitutto alla protezione dell’uscio e delle bottega e che, pur non avendone le capacità, spesso riveste ruoli di assoluto rilievo. Una risata vi seppellirà.
11) ‘A LUNA A MANCATURA. I detti della saggezza contadina aprono il brano in cui l’oscurità diviene consolatrice, scavando, ancora una volta, nei meandri dell’introspezione. Crespuscolare
12) THE BLACK HORSE WINS. Due strofe scritte in inglese e cantate come se si guardasse in faccia l’Atlantico in tempesta. Psichedelia, rock e Macagnino che abbandona la tradizionale delicatezza vocale per dare spazio a un’inedita rabbia espressiva. Balla coi lupi.
“Cosmopolitana mama” è prenotabile scrivendo all’indirizzo fabiomacagnino@gmail,com.