RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
È con ammirazione e gratitudine che apprendo della scelta dei titolari di bar e pasticcerie di Locri di non aderire alla incauta quanto scellerata ordinanza della presidente Santelli, ordinanza che, con tutta evidenza, è frutto dell’accondiscendenza della stessa a pressioni di natura politica, deludendo irrimediabilmente quel senso di sicurezza scaturito dalle sue iniziali posizioni. Per quanto mi riguarda tale dato è sufficiente, attesa la leggerezza con cui attenta alla salute dei suoi elettori e non, per ritenerla inaffidabile. Non meno rilevante appare l’atteggiamento assunto, e contraddittorio rispetto al passato, in merito al rientro dei calabresi poichè, piuttosto che promuovere insensate azioni di contrasto con il governo centrale optando per scelte che eludono la scienza a dispetto invece di una situazione che ne richiede priorità, avrebbe dovuto e potuto operare nella direzione di misure ancor più restrittive. Al di là di quello che, da medico, è il mio parere personale, e cioè che la Calabria andava ed andrebbe chiusa, al pari di tutte le altre regioni del centro-sud e con confini sotto sorveglianza militare, mi sarei quantomeno aspettata un rientro scaglionato e per provincia, questo al fine di contenere il più possibile focolai di contagio e di poter garantire un eventuale intervento mirato e più efficiente, viste le poche risorse disponibili. Non voglio in questa sede sindacare sulle scelte del governo centrale ma mai come in tale circostanza necessitavano disposizioni contestualizzate e non predisposte in misura omogenea, attese le diverse realtà contingenti e in termini di diffusione del contagio e in termini di risorse sanitarie. I nostri corregionali che hanno scelto di rientrare andrebbero ospitati in apposite strutture, non già presso il proprio domicilio, anch’esse sorvegliate e per almeno trenta giorni (tutti i dati depongono per un periodo di incubazione superiore ai quindici giorni) per essere sottoposti a controlli seriati. Non si dimentichi che si tratta sempre di persone già provate da un lockdown di oltre quaranta giorni e pertanto c’è ragione di attendersi, nonostante la buona volontà, una compliance alle misure piuttosto bassa. Eviterei il controllo della temperatura al pari di allarmismi inutili per l’affannosa ricerca di guanti e mascherine. La prima perchè viziata da un elevato tasso di falsi positivi e negativi, basti solo pensare al fisiologico rialzo della temperatura nelle donne in epoca premestruale, e perchè rappresenta un sintomo della malattia già in fase conclamata. Quanto ai secondi, qualunque cosa, in extremis, utilizzata per proteggere il naso e la bocca va bene se associata alla distanza di sicurezza ed i guanti andrebbero usati solo all’interno degli esercizi commerciali, purchè tolti immediatamente all’uscita. Ritengo più efficace un ripetuto ed accurato lavaggio delle mani. Quanto ai tamponi, idonei a svelare la malattia in atto con esclusione verosimilmente della fase di incubazione e di parte della convalescenza, andrebbero somministrati a tutti i cittadini che fanno rientro in Calabria, ovviamente ripetuti a distanza durante la quarantena, ed ai sintomatici. Testare un soggetto che ad oggi risulta negativo e che nelle ore successive potrebbe, suo malgrado, essere esposto a contagio, si rivelerebbe una spesa inutile oltreché non idonea a garantire alcuna sicurezza. Discorso a parte merita invece il personale sanitario, gli ospiti di strutture residenziali, i detenuti e tutte quelle condizioni ove la presenza anche di un piccolo focolaio potrebbe avere drammatiche conseguenze. In ultimo, andrebbero sottoposti ad indagine sierologica più campioni della popolazione, al fine di testare la vulnerabilità al virus, nonchè tutti i pazienti ad oggi risultati positivi e gli asintomatici esposti a contagio. Questo, oltre al dato epidemiologico, consentirebbe anche di conoscere il tempo di permanenza in circolo degli anticorpi e dunque di acquisita immunità. Soggetti risultati ripetutamente positivi al test dopo la guarigione clinica, al pari di quelli risultati nuovamente positivi dopo un’iniziale negatività al test, sono espressione di mancata sieroconversione, ovvero la capacità di formare specifici anticorpi in associazione alla persistenza del virus la cui carica virale, nel secondo caso, è talmente bassa da non essere rilevata dall’esame con tampone, che appare di fatto negativo. Ad una nuova esposizione, o a seguito di fattori individuali, il virus si riattiva e si positivizza anche il test, dove ciò non rappresenta un nuovo episodio di contagio ma la riacutizzazione di una malattia pregressa in un soggetto mai completamente guarito. Questo è quanto accade con altri agenti virali e, fino a prova contraria, ritengo possa ritenersi valido anche per il covid 19. Di certo l’economia è fondamentale, ma il bene primario è la salute. Non si può dare il via a delle scelte privilegiando la prima senza fornire garanzie di assoluta sicurezza per la seconda. Se dobbiamo convivere con il virus dobbiamo farlo con intelligenza e con l’obiettivo di vincere. Forse con scelte giuste ed oculate, screening mirati e frontiere chiuse, oggi avremmo potuto riprenderci la nostra “normalità”, fornendo anche un grosso contributo alla ripresa economica della Nazione. Scenari come quelli ancora presenti in regioni quali la Lombardia rappresenterebbero per noi una catastrofe umana; non ci rimane che puntare sulla prevenzione sfruttando ed onorando il privilegio di essere stati preservati.
Nadia Cautela, dirigente medico ospedaliero.