di Antonella Scabellone
LOCRI- Dopo ventidue anni si torna a parlare del sequestro di Pasquale Malgeri, il settantenne radiologo sidernese rapito nell’ottobre del 1991 nelle campagne di Grotteria e mai ritornato a casa. Lo ha fatto, questa mattina, il pentito Giuseppe Costa, al termine di una deposizione fiume nel corso del processo “Crimine”, davanti al Tribunale penale di Locri. Costa, che collabora con la giustizia dall’ agosto del 2012, collegato in videoconferenza da una località protetta, ha dichiarato che il medico sidernese venne sequestrato per volontà della famiglia Commisso, che ideò e organizzò il rapimento.
“Il primo tentativo di sequestro, poi fallito, è stato fatto dalla famiglia Costa- ha ammesso il pentito. Per quell’ episodio sono stati condannati mio fratello Tommaso, Vincenzo De Leo e Domenico Gallico. La seconda volta, invece, è stata opera della famiglia di Antonio Commisso e dei suoi figli”. Interrogato dai Pm De Bernardo e Musarò, oggi insieme in aula data l’importanza dell’evento, Costa ha dichiarato di aver raccontato ciò di cui era a conoscenza relativamente al sequestro Malgeri a Domenico Commisso.
Oltre al rapimento del radiologo sidernese il collaboratore di giustizia ha attribuito alla famiglia Commisso anche il sequestro della giovane Annarita Materazzi. Secondo il racconto di Costa l’industria dei sequestri di persona rendeva molto bene alla famiglia Commisso. Questo almeno fino a quando non si scoprì il canale più proficuo del traffico di droga.
Nella sua lunga deposizione il pentito, che è detenuto dal 1990 per reati associativi (416 bis) e omicidio, ha ricostruito l’organigramma della ‘ndrangheta locale, partendo dalla società sidernese per poi spaziare con la sovrastruttura provinciale e con le diramazioni estere, in particolare quella canadese.
“Sono entrato a far parte della ‘ndrangheta negli anni 70-ha continuato Costa- per volere di Francesco Commisso. A Siderno, da sempre, ci sono le ‘ndrine e la società di ndrangheta. La famiglie più influenti erano quelle Macrì, Commisso, Figliomeni, Montalto, Curciarello, Spadaro, Verbeni e De Maria. In particolare Cosimo Commisso, classe 50, detto “quaglia”, era al vertice dell’organizzazione; poi c’era Antonio Commisso, classe ’25, e Antonio Commisso classe ‘56 (l’avvocato), Giuseppe Commisso “il mastro”, e il defunto Antonio Macrì”.
Il pentito ha poi illustrato ruoli e gerarchie della locale società e ha ammesso di essere entrato in carcere con la qualifica di picciotto per poi scalare durante la detenzione tutti i gradi, fino ad arrivare a quello di trequartino. “Mico Tripodi, a cui mi legava un rapporto di fiducia- ha aggiunto Costa- ha sempre detto che sopra della qualifica di “sgarro” ci si vizia perché i ruoli superiori presuppongono anche rapporti con soggetti non ndranghetisti e ciò non va bene perché gli ndranghetisti devono avere solo rapporti tra loro”.
In riferimento poi alla cellula canadese ha aggiunto che “in Canada c’è stata sempre una società di ‘ndrangheta, io personalmente ho parlato con il signor Remo Commisso che comandava all’epoca il gruppo dei sidernesi. Gli affiliati per copertura hanno in Canada ristoranti, panetterie, attività varie, ma i veri profitti gli derivano dalla droga, dalle estorsioni e da altri reati”.
Il pentito ha poi ammesso l’esistenza della sovrastruttura “Provincia” che raggruppa tutti i locali di ‘ndrangeta da Reggio, a Catanzaro, a Crotone “no Cosenza, perché a causa dei tanti collaboratori giustizia li non cè una locale”. Costa e’ poi ritornato sulla ben nota riunione annuale della ndrangheta a Polsi, con l partecipazione di tutti gli esponenti delle famiglie più importanti, dagli Ursino di Gioiosa Jonica, agli Aquino e Mazzaferro di Marina di Gioiosa, ai Ruga di Monasterace, ai Cataldo di Locri, ai De Stefano e Tegano di Reggio Calabria, fino ai Piromalli e Mulè dalla zona Tirrenica.
Infine, un particolare che ha incuriosito anche il Presidente Sicuro che ha chiesto un chiarimento a riguardo. “Quando eravamo in guerra con i Commisso esisteva tra noi una specie di accordo-ha ammesso il pentito- per dimostrare che in apparenza eravamo in buoni rapporti al fine di evitare di essere indagati e condannati per i fatti che accadevano. Per tale motivo ci salutavamo per strada, o se dovevamo costruire un casa compravamo il cemento da loro così, se ci arrestavano, non potevano dire che i rapporti non erano buoni”.