di Gianluca Albanese
«Umanità, dove sei?». E’ la domanda (di assai difficile risposta) che la poetessa e scrittrice Antonella Iaschi (emiliana di origine e roccellese d’adozione) si pone. Un pezzo significativo di umanità, a nostro modo di vedere, lo si trova tra le pagine di “Croce di Libia” (2020, Ludo edizioni) scritto a otto mani dalla stessa Antonella Iaschi, dai poeti Idriss Kone (originario del Mali e fuggito dalla Costa d’Avorio per raggiungere la Francia), William Wache, artista e genio multiforme di origine camerunese, e del poeta e scrittore riacese Giuseppe Gervasi.
Ogni rigo del libro trasuda umanità e profondità. Le poesie sono intervallate da scritti pregni di significato, dalla provocatoria lettera che Antonella Iaschi indirizza al sindaco leghista di Finale Emilia (che lo scorso 25 aprile dal palco delle celebrazioni evocò un gerarca fascista del posto), fino alla descrizione della visita compiuta nella famigerata tendopoli di San Ferdinando.
Umanità che diventa rabbia e commozione nel racconto di Idriss Kone, cui una banda di delinquenti ivoriani portarono via, in una sola notte, madre, casa e terra che dava da vivere a tutta la famiglia; umanità che si tinge del verde del pensiero ambientalista di William Wache e di azzurro della “Riace che incontra il mare” di Giuseppe Gervasi, che apre la sua sezione con un pensiero sul laboratorio di umanità perduto nel suo paese ma che ama chiosare: «Ho usato il presente nel racconto del passato, la mia speranza per il futuro».
E’ un manifesto di umanità, Croce di Libia, il cui titolo prende spunto dall’opera dello scultore Enzo Niutta realizzata con pezzi di una carretta del mare rinvenuti nelle spiagge del nostro Jonio, magistralmente ritratta in copertina da Sabrina Alì.
Un simbolo cristiano realizzato con pezzi di una barca di musulmani.
E’ un libro nel quale c’è spazio anche per i pensierini inviati via WhatsApp da Idriss, che Antonella ha raccolto con pazienza certosina. Autentiche perle di saggezza, a nostro modo di vedere sprecate per la messaggistica istantanea di un telefonino e giustamente riportate nel libro.
Desideriamo anticiparvene due per comprenderne il valore:
«Il perdono sta nel perdere il proprio diritto alla vendetta quando qualcuno ci ha fatto del male» e poi «L’onore di un uomo sonnecchia tra i piedi della sua donna, la donna è la cintura che tiene i pantaloni di un uomo».
“Croce di Libia” è uscito a febbraio 2020, quando l’Europa prima – l’Italia in primis – e il mondo intero poi, hanno conosciuto il terrore del corona virus Covid-19 che, come la famosa “livella” di Totò colpisce tutti, indipendentemente dalla nazionalità, dal ceto sociale, dal colore della pelle e dal credo professato.
Siamo in piena emergenza e non sappiamo come andrà a finire.
Certo è che alcuni versi contenuti in “Croce di Libia” letti in questi giorni assumono un valore quasi profetico, nella misura in cui ricordano che esiste una sola razza: quella umana. E che in periodi di paura e disagio come quelli che stiamo vivendo questo concetto si comprende, forse, molto meglio.
Ce lo ricorda Giuseppe Gervasi nella sua “Sorridi al mondo”:
«La sofferenza invoca con coraggio il sollievo. Il sorriso spontaneo che viene da dentro, è il suo biglietto da visita più elegante».
E ce lo rammenta anche Antonella Iaschi, che nella sua collana di poesie contenute nell’opera (tra cui una dedicata al Mu.Sa.Ba.) di Mammola, scriveva, nel maggio di due anni fa, dei versi che, se tutto andrà bene, leggeremo con maggiore attenzione nel maggio che verrà:
«RITROVARSI
Ritrovarsi
anche solo per poco,
il tempo di un abbraccio,
una foto, un sorriso,
di speranze tradotte,
di paure velate.
Ritrovarsi,
per continuare a tessere
l’alfabeto improbabile
che racconta un futuro
cancellando gli orrori
di un altrove passato.
Parlare di famiglia,
di vecchiaia, di noi,
così tra un treno e l’altro
seduti su un gradino.
Ritrovarsi di maggio
con la vita che pulsa».