di Gianluca Albanese
SIDERNO – Allora la “giustizia a orologeria” esiste davvero… Compiere un’operazione della Dda contro una potente cosca di ‘ndrangheta di Reggio Calabria il giorno dopo la proclamazione degli eletti al nuovo consiglio regionale può sembrare una casualità. O forse no.
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Ci spieghiamo meglio. Nessuno dei consiglieri neo eletti ha, fino a prova contraria, rapporti di contiguità o, peggio, di appartenenza alla ‘ndrangheta configurabili nel reato previsto dall’articolo 416bis del Codice Penale. Nei giorni che precedono la formazione del nuovo esecutivo di palazzo Alemanni, però, il nome di uno dei papabili per il ruolo di assessore esterno, ovvero quello del consigliere regionale uscente Nino De Gaetano finisce nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’arresto di presunti boss, gregari e fiancheggiatori dei Tegano.
Non è una novità. Già in passato il suo nome stato fatto da qualche collaboratore di giustizia che lo aveva indicato come politico di riferimento del clan di ‘ndrangheta alle elezioni del 2010, quelle in cui era candidato sotto il simbolo della Falce e Martello di Rifondazione Comunista. L’ex consigliere regionale Michelangelo Tripodi, poi, ebbe da dire pure sui tanti voti disgiunti che a Reggio (specie nel quartiere Archi) gli furono tributati alle elezioni del maggio 2010, quando la legge elettorale allora in vigore permetteva strane accoppiate elettorali, tipo quella tra l’allora comunista Nino De Gaetano e il candidato post fascista alla presidenza della giunta regionale Peppe Scopelliti.
Ma le rivelazioni di un collaboratore di giustizia e la rabbia di un consigliere uscente che non viene rieletto perché secondo nella lista allo stesso De Gaetano lasciano il tempo che trovano.
Poi però arriva nero su bianco. Compare un decreto di fermo. In cui si legge, tra l’altro che uno dei presunti affiliati al clan “si sarebbe attivato – scrive quanto scritto dal direttore de “Il Dispaccio” Claudio Cordova – nel 2010, per raccogliere il consenso elettorale in favore di soggetti politici locali: non a caso, a Terreti, nel covo del latitante Tegano, nella medesima stanza in cui veniva arrestato il latitante, la locale Squadra Mobile ritrovava numerosa documentazione elettorale. Documentazione riferibile proprio a Nino De Gaetano”.
Ma torniamo indietro di qualche mese. De Gaetano, sul cui capo pende anche un’altra inchiesta, quella relativa alla gestione “allegra” dei rimborsi ai consiglieri regionali (i cui fatti risalgono ai tempi in cui era consigliere di Rifondazione Comunista), nel corso della passata consiliatura aderisce al Pd, stabilendo un saldo legame politico e di collaborazione con l’attuale segretario provinciale Seby Romeo, e contende all’altro consigliere provinciale reggino (ma dell’Ncd) Candeloro Imbalzano il primato della presenza sul territorio provinciale per uno che siede a palazzo Campanella. È ovunque, il giovane Nino. Alle feste de L’Unità, ai convegni di partito e anche alle convention preelettorali, come è accaduto a Roccella Ionica la scorsa primavera quando venne a sostenere un candidato avversario alla lista che aveva il simbolo del Pd, del suo partito.
Sempre presente, col suo eloquio genuino e le sue fantasiose metafore: ad agosto dell’anno scorso, ad esempio, in un convegno a Gioiosa Ionica che diede la stura a quel processo che poi portò all’Unione dei Comuni della Valle del Torbido, si congedò dicendo: “Ma in fondo l’Unione Europea cos’è, se non una grande Unione di Comuni?”.
Sempre presente e sempre adorato dalla “nomenclatura” del partito. Da quell’apparato pronto ad ospitarlo e sostenerlo in massa a quella che sembrava una sicura ricandidatura a palazzo Campanella. Almeno fino alla “notte dei lunghi coltelli”, sull’asse Reggio Calabria-Lamezia Terme. Quando, nottetempo, lui e l’altro uscente Naccari Carlizzi non vennero ricandidati. La notte delle lacrime per Nino De Gaetano. Dal cilindro spuntò il candidato alternativo, ovvero quel Seby Romeo che non finirà mai di ringraziare proprio Nino De Gaetano per la lealtà dimostrata ed il sostegno elettorale, conscio che avrebbero potuto pescare in un bacino elettorale – quello pulito s’intende… – comune.
Leale fino all’ultimo. E sempre insieme a Seby Romeo: sul palco per il comizio di chiusura della campagna elettorale alle Regionali e a festeggiare insieme, salutando i fans a pugno chiuso dopo l’elezione del segretario provinciale a Palazzo Campanella.
C’è però chi sostiene, fin dal periodo precedente le elezioni, che dietro alla lealtà dimostrata da De Gaetano al sodale Seby Romeo ci sia un accordo con lo stesso Mario Oliverio, tutto teso a far prevalere il “correntone” cuperliano (già bersaniano), al quale i tre si richiamano, in provincia di Reggio, sul renziano Irto. Il pacchetto prevedeva – sempre secondo i ben informati – che se Seby Romeo avesse preso più voti di Irto a Nino De Gaetano sarebbe andato l’assessorato esterno nella nuova giunta regionale.
Il verdetto delle urne dà ragione all’accordo: Romeo è il candidato più votato in tutta la provincia e questo alimenta le indiscrezioni (diffuse, nei giorni scorsi dall’autorevole quotidiano “Gazzetta del Sud”) che davano De Gaetano tra i tre papabili per un assessorato esterno.
Ora, come una mannaia, arriva quest’operazione che sembra avvalorare certe “voci” che si sentono da anni. E che comunque adombra qualche sospetto sul piano della condotta elettorale tenuta nel 2010 da parte di Nino De Gaetano.
E ora che farà Oliverio? Tirerà dritto come solo i montanari cocciuti sanno fare? O farà un passo indietro sull’assessorato promesso a De Gaetano, magari togliendosi dall’imbarazzo e giocandosi il “jolly” del posto in giunta a un esterno con un altro dei tanti pretendenti all’incarico? Non è dato saperlo.
E l’apparato del Pd reggino e della provincia? Quello che piangeva insieme a De Gaetano nella notte della mancata ricandidatura e che gioiva insieme a lui per l’elezione di Seby Romeo? S’interrogherà sui metodi di selezione della classe dirigente e su quello che resta della Questione Morale di berlingueriana memoria o farà finta di nulla per non pregiudicarsi la possibilità di un incarico retribuito nella costituenda struttura speciale del consigliere regionale Seby Romeo?
Intendiamoci, chi scrive è un garantista autentico.
Proprio per questo, non lo è a senso unico. E soprattutto ha buona memoria.
Nel 2012, l’anno dell’operazione “Falsa Politica” per la quale si sta celebrando il processo di primo grado per 416bis a carico di ex amministratori comunali e di un ex consigliere regionale (Cosimo Cherubino) in attesa di giudizio e sottoposti (tranne l’ex assessore Antonio Commisso) a custodia cautelare in carcere, e che diede la stura allo scioglimento del consiglio comunale di Siderno per infiltrazioni mafiose, i consiglieri comunali del gruppo del Pd si recarono in tutta fretta dal Prefetto di Reggio Calabria denunciando la mancanza di agibilità democratica in una cittadina in cui la ‘ndrangheta è entrata nei gangli della vita pubblica, come confermerà, un anno e mezzo dopo, la condanna in primo grado all’ex sindaco Alessandro Figliomeni nel quadro dell’operazione “Recupero-Bene Comune”.
Ebbene, i consiglieri comunali del Pd sidernese raggiunsero repentinamente il Palazzo del Governo, sito nel centralissimo corso Garibaldi. Col senno di poi, la loro trasferta reggina quel giorno avrebbe potuto essere arricchita da una capatina nel quartiere Archi, sede, secondo quanto riportato dalle carte, di estemporanei comitati elettorali del loro consigliere regionale di riferimento.
Magari avrebbe aiutato loro a chiarirsi le idee in tema di politica e garantismo.