di Maria Antonella Gozzi
LOCRI – “Diario da una finestra sul mare” – Cartella FD 53/09 di Filomena Drago arriva, senza soluzione di continuità, dopo il libro d’esordio dell’autrice dal titolo “Viola”, edito da Calabria Letteraria editrice.
Recensire un libro non è mai opera semplice e, come in questo caso, la difficoltà maggiore discende dal timore di non comprendere appieno il messaggio che l’autrice intende trasmettere ai lettori. Per tale ragione, la lettura di entrambi i libri – di Viola, prima, e di Diario da una finestra sul mare – Cartella FD 53/09 subito dopo – è stata preceduta da un dialogo, se è possibile, ancora più intenso rispetto al consueto scambio di idee che abbiamo sempre avuto con gli autori incontrati in un anno di straordinarie sorprese.
Con Filomena Drago, psicoterapeuta attenta e appassionata che lavora da quasi quarant’anni in attività di prevenzione e cura con le famiglie, gli adolescenti, i bambini e le persone violate, non è semplice parlare, ma è molto naturale predisporsi all’ascolto. Un universo parallelo sembra essersi incagliato fra la sua attività di operatrice sanitaria e la sua fantasia da bambina non ancora sopita, che ama le favole. E se ci sono i draghi, è ancora meglio.
Di Viola, una donna che trascorre la propria vita tormentandosi nella continua ricerca di sé stessa e di una madre perduta, Filomena Drago porta dentro tutto; non dimentica e la conduce con sé, lungo un viaggio le cui tappe nascondono ostacoli di ogni natura. Già, se la porta dietro, come una «coperta di Linus», anche se cerca di dirci che possiamo tranquillamente leggere il secondo libro senza farci entrare nell’anima Viola. Ma lei l’ha capito che non seguiremo il suo consiglio.
Temiamo di essere stati scelti dall’autrice per una ragione molto semplice: quella di non fare sconti a nessuno né quando scriviamo né quando parliamo dei “nostri” libri. Ed anche questo, la dottoressa Drago, l’ha capito subito.
La «Cartella FD 53/09» si apre e la voce narrante, seduta di fronte a una finestra che sul mare, annota le parole di una “strana” paziente che ha l’esigenza di raccontarsi e di raccontare dell’impegno profuso a favore dell’apertura di un servizio socio sanitario territoriale che, inizialmente, fatica a partire nonostante la collaborazione di associazioni femminili ed enti benefici.
«Quello che vorrei trasmetterti con le mie parole è il concetto di fatica che ho fatto nella quasi più perfetta solitudine e assenza da parte delle istituzioni preposte, per raggiungere l’obiettivo di creare una rete di relazioni intorno a un servizio nascente che, di fatto, ancora non è visibile da nessuno, in nessun luogo». Con queste parole, una signora dall’aria vagamente sessantottina e dal linguaggio forbito, cerca di spiegare alla psicoterapeuta che ha di fronte, il rammarico di aver provato (fino a riuscirci) a creare dal nulla e senza l’aiuto delle istituzioni, una realtà territoriale che – grazie alla collaborazione di medici e di personale socio sanitario – ha garantito assistenza alle fasce più deboli e bisognose di aiuto presenti sul territorio, per quasi quarant’anni, per poi vederla svanire in un attimo.
Diario da una finestra sul mare apparentemente sembra solo una raccolta di storie tristi e dolorose. E, infatti, a una prima e superficiale lettura, il rischio è di scontarsi con la propria coscienza, di farsi delle domande sulle ragioni che hanno spinto l’autrice a condurci verso un universo d’intimo dolore, di sprezzante indifferenza e abbrutimento. Per nostra fortuna, proseguendo nella lettura, tra una discesa negli inferi e una risalita – il tutto in apnea – realizziamo la portata dell’opera e del messaggio forte e chiaro che vi è contenuto.
Il libro di Filomena Drago è un’autentica denuncia; un’espressione da lei usata più volte – questa – ma che si materializza fra le righe di ciò che è possibile definire un testamento etico, un postulato d’amore offerto al mondo degli ultimi e dei dimenticati da Dio e dagli uomini.
Parola dopo parola, rigo dopo rigo, pagina dopo pagina la tensione cresce e diveniamo “una, nessuna e centomila”, tutte davanti alla grandissima finestra difronte al mare, incorniciata dalle cime di un cipresso a raccontare e a raccontarci.
Il libro, dedicato alla magica creatura del drago che vive dentro ognuno di noi e alimenta la nostra anima sensitiva, è diviso in tre sezioni legate da un comune filo conduttore che fluisce, in modo del tutto incontrollabile, tra realtà e fantasia consegnando al lettore una lezione di umanità e di leggera poesia. La natura, come l’uomo e il suo rapporto con essa, diventa l’anello di congiunzione tra lo spirito della voce narrante e quello dell’interlocutore prescelto.
Le impressioni sono tante, ognuna si articola in modo diverso anche in ragione del capo del filo che scegliamo di tenere nel palmo della nostra mano un attimo prima di partire per raggiungere l’altro, poco più distante. Chi scrive ha scelto di sciogliere una matassa prendendo più fili, uno più complesso e pungente dell’altro perché, se è vero che temi come depressione, ansia, senso dell’abbandono e degrado morale sono i mali del nuovo mondo, vero è, soprattutto, che combatterli con armi spuntate non solo diventa difficile per gli operatori del settore ma rende, di fatto, vana ogni politica sociale che abbia l’ardire di farsi manifesto e portavoce di esigenze primordiali, come la salute psico-fisica dei cittadini.
La lotta alla violenza di genere, all’abbandono e il maltrattamento dei minori, che è l’argomento principe dell’opera della Drago, deve poter contare su infrastrutture efficienti e personale qualificato, deve potersi misurare con la complessità delle richieste emergenziali che, nostro malgrado, stanno aumentando in maniera esponenziale nel nostro territorio. Qual è la «centratura» giusta, allora? Qual è la cosa migliore da fare e da che parte sta la ragione? La risposta alle domande è semplice e disarmante: la cosa più giusta da fare, l’esatta centratura del problema – come si sforza di chiarire la strana paziente – si trova a metà tra il nostro dovere di agire e il nostro coraggio di denunciare un sistema che penalizza le fasce più deboli della società.