di Gianluca Albanese (ph. Enzo Lacopo)
LOCRI – Lo aveva preannunciato giovedì scorso, dopo la lettura della sentenza di appello al processo Fortugno-bis che ha sancito la condanna all’ergastolo del suo assistito Alessandro Marcianò. Oggi, l’avvocato Pino Mammoliti ha preso carta e penna e ha scritto al Ministro della Giustizia Rosanna Cancellieri per esternare tutta una serie di perplessità.
“Approfitto – esordisce Mammoliti nella sua lettera – della Sua venuta a Reggio Calabria, intanto per ringraziarLa per la sensibilità e l’attenzione dimostrata, negli anni, verso la Calabria intera e, opportunisticamente per segnalarLe alcuni aspetti, poco noti, alle cronache giudiziarie ed agli studiosi del connubbio Calabria-Giustizia. Di “Ndrangheta” per il ruolo che svolge nel governo italiano, saprà molto di più di quanto ovviamente si possa immaginare.
Il primo aspetto che pongo alla Sua attenzione è legato al nepotismo e familismo che governano la Giustizia del distretto Reggino. Lo stesso è di pari disinvoltura di quello politico (quest’ultimo ritenuto asfittico e pernicioso per la crescita sociale-civile-economica della Calabria). Se il mondo politico e quello giudiziario soffrono eguali patologie, destano eguali preoccupazioni, eguali soluzioni debbono essere adottate per la credibilità delle istituzioni che rappresentano.
La seconda area da scandagliare, strettamente collegata alla prima preoccupazione espressa, è la gestione dei “collaboratori di giustizia”. C’è anzitutto, un continuo, sconcertante equivoco tra la questione dell’utilità dei pentiti come strumento di lotta alla criminalità, di cui, in sostanza, essi sono espressione, e quello del valore delle loro “rivelazioni” come prove di responsabilità dei delitti addebitati a quelli che ne sono accusati. Il caso Lo Giudice è solo l’ultima scena di una opera nata male, gestita peggio, ancor di più abbasserà il livello di fiducia da parte dei cittadini nella giustizia. All’epoca di tangentopoli il tasso di fiducia era al 93% oggi è al 21%. Sono cifre che parlano da sole, senza concedere spazi a speranzose e ottimistiche aspettative di controtendenze.
Il terzo ed ultimo aspetto, in prospettiva di una riforma del sistema giudiziario, riguarda la composizione delle giurie popolari. Assisto a più di venti anni a scene imbarazzanti che si registrano durante i processi in Corte di assise e in Corte di Assise di Appello. I così detti Giudici popolari sono, a modesto parere di chi Le scrive, una mera rappresentazione scenica. Appaiono ictu oculi, spaesati, a volte fuori posto, e non concedono alcuna sensazione di interesse tecnico giuridica. Mi chiedo questa giustizia oltre ad essere “ammorbata” da mille malesseri e da altrettante contraddizioni deve apparire “penosa, grigia e sorda” anche nel momento di maggiore sacralità qual’è la celebrazione di un processo che riguarda la vita degli imputati? Perchè come si usa nei Tribunali di Sorveglianza, oltre a mettere Giudici togati si registra la presenza di soggetti esperti in materia giuridico-sociale, allo stesso modo non si può fare nella composizione della giuria popolare della Corte di Assise eliminando così il divario tra lo strapotere dei Giudici togati e la quasi insignificante presenza dei Giudici laici.
RingraziandoLa – conclude la lettera – per la cortese attenzione e certo di ricevere, anche a nome dei colleghi che non vogliono mantenere un comportamento ovinico e supino rispetto alla indifferenza ed al bullismo che si registra da parte di alcuni apparati istituzionali, una sua gradita risposta porgo deferenti ossequi”.