Nel corso degli anni il giudice di Gerace ha fatto breccia nel cuore pensabilmente arido di tali soggetti, riportati sulla retta via, da essere in numero crescente ed esponenziale, un autentico “tesoro” da valorizzare ridando dignità alle persone oltreché ai territori, grazie anche ad un fruttuoso lavoro “in rete” tra magistrati, giudici ed i loro collaboratori più fidati, che oggi dànno un vero e proprio “esercito” di coloro che, della ‘ndrangheta, non ne vogliono più a che sapere.
di Antonio Baldari
È il “D-Day” per Nicola Gratteri alla Procura della Repubblica di Napoli. È il giorno precedentemente stabilito per l’abbrivio della sua, nuova, missione dopo avere chiuso la propria esperienza in Calabria, segnatamente alla procura della Repubblica di Catanzaro – con non senza dei momenti di commozione per un uomo fermo e “di ghiaccio” come lui! – ed ancora prima in quel di Reggio Calabria ed a Locri.
È il “D-Day” per il giudice di Gerace per il quale si impone un’ulteriore riflessione in calce al suo operato nella terra madre, che ha riguardo a quella vera e propria “ondata” di pentiti che possiamo tranquillamente definire “pentitismo”, un fenomeno davvero impensabile per la più potente organizzazione criminale al mondo, qual è la ‘ndrangheta, che affonda le proprie radici nella famiglia e/o ambiente familiare che dir si voglia, ancorché ne sia passata tanta di acqua sotto i ponti dell’ingiustizia tutta in salsa calabrese, a cui si è cercato di porre un argine sin da quando, all’inizio degli anni Ottanta, venne istituita la figura del “collaboratore di giustizia”.
E quindi di chi, in definitiva, veniva invitato a recedere dal comportamento deviato assunto in anni neri di omicidi, rapine, furti, traffici di armi e droga, ricettazione e tutto ciò che ne ha irrimediabilmente macchiato la cosiddetta “fedina penale”, salvo pentirsi, per l’appunto, e tornare a camminare sulla retta via collaborando con chi rappresentava le leggi dello Stato; una figura, quella del collaboratore di giustizia, che è cresciuta di pari passo con il crescere, professionalmente ed umanamente parlando, del giudice Gratteri, che ha lavorato sodo, in maniera precisa ed efficace al punto da avere un certo “ascendente”, diciamo così, anche nei confronti di chi aveva voluto percorrere una strada diversa dalla sua.
E così, nel corso degli anni, il carisma “gratteriano” ha fatto breccia nel cuore pensabilmente arido di tali soggetti, riportati sulla retta via, come testé si diceva, da essere in numero crescente ed esponenziale, un autentico “tesoro” da valorizzare ridando dignità alle persone oltreché ai territori, grazie anche ad un fruttuoso lavoro “in rete” tra magistrati, giudici ed i loro collaboratori più fidati, che oggi dànno un vero e proprio “esercito” di coloro che, della ‘ndrangheta, non ne vogliono più a che sapere.
È questo, insomma, il lascito più pesante che il giudice Gratteri ha donato quale “regalo d’addio” alla martoriata terra di Calabria, che ha già comunque detto di “volere aiutare quando potrò”, e c’è da giurarci che lo farà, quando potrà, benché le tracce siano del tutto visibili già ora e per gli anni a venire.