R. & P.
Dopo essere stata sfamata, la folla cerca nuovamente Gesù, perché è stata soddisfatta nel suo bisogno. Si cerca Gesù per i propri interessi, dimenticando che Egli è venuto non per dare un cibo materiale, ma ciò che nutre per la vita eterna. A Gesù non basta che la gente lo cerchi, desidera che questa ricerca e l’incontro con Lui vadano oltre la soddisfazione dell’interesse materiale. Sta qui la ragione del suo rimprovero: «Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (v. 26). Gesù è venuto a darci qualcosa che va oltre i bisogni del mangiare, dello stare bene in salute, del successo, del guadagno. Quella folla cercava più il dono che il Donatore, Gesù: si contentava di un dono che, pur necessario e prezioso, come il pane, non era affatto paragonabile a quello che Gesù era in grado di offrire, cioè il dono di sé. Gesù chiede di andare oltre il miracolo, di coglierne il senso, che si comprenda che è il segno che “il regno di Dio è vicino”, che l’atteso Messia è lì nella persona che opera, in Lui, vero dono del Padre.
Anche se spesso sono ragioni esterne come una necessità, un evento tragico, una pandemia o altra malattia, una prova, a portarci a Dio e a farci aggrappare alla fede, il nostro rapporto con Dio non si ferma a questo: c’è sempre qualcosa in più che ci avvicina a Lui. Se è vero che Lui può darci ciò di cui abbiamo bisogno, il nostro vero intento è andare a Lui, è avere Lui come riferimento della vita, è fare la sua volontà. In questo senso Gesù c’invita a darci da fare non solo per il cibo che perisce, ma anche per quello che rimane per la vita eterna. Chiedere il “pane che non perisce” non significa dimenticarsi dei bisogni materiali, ma saper alzare lo sguardo alle realtà che stanno oltre. E’ un invito a non strumentalizzare la fede. Com’è necessario preoccuparci per il pane, lo è anche coltivare il rapporto con Dio, rafforzare la fede in Lui, che sazia la nostra fame e sete di verità, di giustizia, di solidarietà, di libertà, di uguaglianza.
Gesù dice: non di solo pane vive l’uomo. Il benessere della persona comprende sia la dimensione materiale che quella spirituale. E’ vero c’è una vita fisica, biologica, che inizia e finisce, da tutelare, ma esiste anche la vita spirituale ad essa correlata. Anche questa, se non la nutri, s’indebolisce e muore. Cosa vale di più la vita fisica o quella spirituale? Entrambi, proprio perché sono correlate fra loro: se non sto bene dentro non sto bene fuori. C’è unità nella persona tra corpo e spirito, tra le esigenze dell’uno e quelle dell’altro, che non possono essere disgiunte. In questo tempo di emergenza coronavirus, di fronte alla dovuta attenzione alla salute è facile che ci si dimentichi di curare anche la salute spirituale.
Giustamente la Cei esprime il proprio dissenso di fronte alle ultime misure governative anticoronavirus, oltremodo restrittive che rischiano di ostacolare di troppo l’esercizio dei diritti religiosi. I Vescovi fanno notare che la stessa l’azione sociale della chiesa, e quindi l’impegno al servizio verso i poveri, nasce da motivazioni interiori, da una fede che deve potersi nutrire attraverso la vita sacramentale. Se questo viene a mancare si inaridisce la vita spirituale. Mentre giustamente si tutela la salute del corpo, si rischia di indebolire quella spirituale, compromettendo il bene integrale della persona.
Ma torniamo al Vangelo. La folla che ascolta le parole del Signore forse non ne comprende bene il senso: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù risponde: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». L’opera di Dio non consiste nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato. E’ aver fede in Dio ed in Colui che ha mandato. E’ adesione a Gesù, mettersi alla sua sequela, lasciarsi afferrare da Lui.
Concludendo esaminiamoci interiormente: cerco Gesù per interesse o per fede? La mia è una fede disinteressata o è condizionata dai miei bisogni immediati?
(Omelia del vescovo, monsignor Francesco Oliva)