di Simona Masciaga (foto Mimma Gullotta)
SIRACUSA – Un palazzo in via di restauro dove, tra legname e impalcature domina al centro un volto enorme, prima velato e poi scoperto. Questa è la scena iniziale di Fedra, l’ opera di Euripide risalente al 428 a.C, riproposta da Paul Curran in occasione della LIX stagione teatrale indetta dall’ INDA al teatro greco di Siracusa. In realtà, il volto di Artemide, prima velato e poi scoperto, sta ad indicare le due tragedie presenti nel teatro classico: “Ippolito velato e Ippolito incoronato”, il regista ne ha tratto abilmente una sintesi senza colpo ferire alle due grandi versioni originali.
Fuori scena appare Afrodite (Ilaria Genatiempo) in tacchi a spillo, abiti sensuali ed elmo dorato che, lentamente con movenze sinuose occupa il centro della scena… è per un suo capriccio, per sua vendetta personale, dovuta al rifiuto di Ippolito (Riccardo Livermore), dedito alla castità e ad Artemide (Giovanna di Rauso) le nega l’amore. Orbene, per vendetta, Afrodite offusca la mente di Fedra, sposa in seconde nozze di suo padre Teseo (Alessandro Albertin) suscitando in lei una forte passione amorosa sperando nell’incesto. Fedra (Alessandra Salamida) appare in abito giallo, simbolo della pazzia e della gelosia; la sua mente è offuscata dal desiderio e dall’ amore verso il figliastro Ippolito che la rifiuta: Ippolito ha fatto voto di castità e fedeltà verso Artemide, la dea vergine, e come lei, in una sorta di sacerdozio, vuole rimanere puro (ecco gli abiti bianchi e lucenti di scena indossati).
Ippolito entra in scena accompagnato da musiche e coreuti danzanti in abiti un po’ figli dei fiori anni 60-70 un po’ Hare Krisna il che non guasta alla scena ma, ad un tratto, un fauno estrae un cellulare dalla tasca e lo indirizza verso gli orchestrali. Un anacronismo!! Se l’uomo prima era vittima del potere delle divinità, ora è vittima della tecnologia e dei social! Attacco di misoginia e antisesso da parte di Ippolito che ha suscitato sia sorrisi che indignazione tra il pubblico che però ha applaudito intelligentemente sia tenendo conto dell’opera in sé, che dalla valida performance dell’attore.
La figura della velenosa e ambigua balia (Gaia Aprea) ha, in realtà, surclassato, per dominio scenico e interpretazione Fedra: lei, è la vera prima donna di tutta la performance, sia per trama che per capacità interpretativa. Fedra si impicca per vergogna e per amore lasciando una lettera in cui denuncia una falsa violenza subita da Ippolito; Teseo distrutto per la morte della sua sposa, il cui corpo ricomposto in abiti bianchi e rossi (purezza e martirio) entra in scena su una obsoleta barella di pronto soccorso accompagnata da un popolo che indossa moderne divise da protezione civile con tanto di elmetto dotato di luce…altro anacronismo ma, se teniamo conto che la reggia scenica era costituita da ponteggi di restauro, il tutto ci può stare!! Una sorta di lieve modernità non guasta al contesto!
Teseo, appreso lo stupro, fidandosi di Fedra, condanna il figlio all’esilio senza indagare e senza remore: l’esilio era, per il concetto della società arcaica, peggiore della morte; viaggiare ramingo senza patria e senza gloria! Altresì Teseo manda su di lui una delle tre maledizione concesse da Zeus: che muoia per mano di Poseidone e, infatti, il giovane viene travolto da un onda anomala nell’atto di partire. Un servo annuncia l’accaduto a Teseo il quale resta impassibile, tutt’altro: estrae una pistola e la punta alla fronte del servo! Terzo anacronismo( questo si poteva evitare sicuramente). Ippolito morente viene riportato in scena su altra barella, subito l’intervento di Artemide a riscattare l’innocenza di Ippolito e Afrodite che sempre sensuale si sente soddisfatta della sua vendetta.
Lotta tra divinità che vedono gli uomini vittime e che si può paragonare alla lotta attuale tra i potenti di cui, sempre il popolo ne fa le spese. A Teseo non resta che abbracciare il figlio morente in una scena che richiama ” La pietà” di Michelangelo in una sorta di atmosfera e dialogo freudiano.
Una performance dai tratti un po’ molli e spazi vuoti tra le scene, notevoli di dialoghi introspettivi tipici delle eroine di Euripide, appreziamo l’esibizione ben curata e il messaggio trasmesso: l’uomo vittima dei potenti e di internet vive in una società che sta per crollare.