di Fabrizio Cicchitto*
La situazione generale è del tutto paradossale. Esistono questioni oggettivamente e soggettivamente negative dall’ambiente alla pandemia che richiedono o risposte razionali e riformiste o repliche di stampo reazionario e darwinista come hanno provato a fare Bolsonaro, Johnson prima maniera e Trump. Il riformismo istituzionale e quello economico-sociale vanno fondati sull’intreccio fra le piattaforme tradizionali di questa corrente di pensiero e l’elaborazione innovativa di un nuovo programma che si misuri con le nuove contraddizioni. Ciò detto, però, può esistere possibilità riformista senza un soggetto politico riformista e un leader dal carisma all’altezza dei tempi?
Fermiamoci un attimo all’Italia. In Italia negli anni ’70 era in campo un contraddittorio partito socialista, ma nessuno dei leaders di quel periodo né nel frontismo né in alcune fasi del centro-sinistra riuscì a conquistare l’egemonia di quella fase politica. Certo, in un paio d’anni del centro-sinistra si impose la forza delle realizzazioni riformiste (vedi la nazionalizzazione dell’energia elettrica) mentre negli anni ’83-’87 si impose la forza della leadership espressa da Craxi.
Oggi, se dio vuole, siamo combinati nella seguente paradossale situazione: c’è una grande domanda di riformismo, ma non ci sono né un grande e forte partito socialista e tantomeno un leader riformista. Per cortesia, non ci si risponda che questo partito è il PD perché le cose non stanno affatto in questi termini. Il PD, pallido ed esangue, è al massimo il partito che assicura un tanto di normale gestione democratica in una situazione che richiede ben altro.
Siccome c’è una forte domanda, ma allo stato manca la risposta, allora è anche lecito fare una sorta di sogno in una notte di mezza estate e quindi ipotizzare un investimento di tutte le forze disponibili nell’attuale PSI per farne qualcosa che esso certamente oggi non è. Visto il contesto tutt’altro che brillante allora preferiamo la scommessa su un’utopia con tutto quello che di imprevedibile ciò implica.
Al punto in cui siamo meglio il sogno dell’impossibile che la gestione dell’esistente che per di più non offre né una prospettiva per il futuro, né una soddisfacente gestione del potere per l’oggi.
*: parlamentare dal 2001 al 2018